Esplorando l'Io

Posts written by AnonimoBianco

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    E' sempre più frequente che io passi le feste da solo: preludio della vita che sarà e che avrò.
    Per alcune feste (natale, pasqua...) passo il tempo dalla mia famiglia originaria, attenuando così la solitudine. Altre volte (compleanno, celebrazioni personali) sono sempre ed esclusivamente da solo.
    Come è cominciato tutto? E' una conseguenza della mia asocialità.

    Anestetizzare le emozioni, anestetizzare la vita
    Ormai da circa 10 anni sono abituato a anestetizzare tutto ciò che sento, in modo artificiale.
    Dico sempre a me stesso che accetterò la realtà quotidiana evitando di alterare le mie sensazioni, ma poi noto che nella mia realtà quotidiana non c'è nulla, solo lavoro, ecco perché diventa per me fondamentale.
    Anestetizzare artificialmente la vita serve a rendere questa consapevolezza meno pressante, a vivere la stessa scrollando le spalle.
    A volte, in periodi più o meno lunghi, mi sono liberato da questi vizi. E' ciò che farò di nuovo da domani, anche perché si torna alla vita ordinaria e fortunatamente, non ho più la possibilità di alterare le sensazioni.

    Anestesia e asocialità
    Schivare la vita anestetizzandomi si è legato inestricabilmente alla mia natura asociale, aggravandola, dandole una sorta di supporto morale. L'anestesia delle emozioni, infatti, proprio perché artificiale, allontana la visione d'insieme dai pensieri. Rende meno pressante l'assenza di socialità, anzi, la naturalizza fino a che ci si inganna di poter fare a meno di tutti.
    Al risveglio dall'illusione, nel mio caso, è stato troppo tardi per aggiustare le cose. Intorno a me il deserto, amplificato da tutte le mie scelte: spostarsi di città in città, inventare bugie e scuse per non uscire, utilizzo delle chat come sostitutivo sociale.

    La chiusura della chat
    Fino al 2023 ho utilizzato un sito web che permetteva di chattare con sconosciuti in forma anonima. Generalmente le conversazioni avevano puro scopo di scambio, spesso scambio di conoscenze, e condivisione di informazione e storie su interessi comuni. Insomma, si trattava per me principalmente di uno spazio in cui mi riappacificavo con la società, con il mondo, senza pretendere di sapere chi ne fosse il rappresentante in quel momento. La persona dalla parte opposta era semplicemente un altro io, a volte interessante, a volte meno.
    Nel 2023, il sito chiuse, come estrema ratio per contrastare il cattivo uso fattone da taluni individui.
    Ho subito questa chiusura come un'ingiustizia: per me la chat era un essenziale scambio, direi un vitale scambio con l'altro, l'unico ricco di contenuti oltre a quello professionale. Le persone amano utilizzare i social network, che io non sopporto in quanto sempre più parte della propria identità e ormai tali da rendere l'identità digitale più importante dell'identità reale di un soggetto. Io utilizzavo un sistema diverso, lontano dai meccanismi superficiali del like, del following e dalla consacrazione di brevi momenti creati ad hoc per la condivisione.
    La chiusura della chat, dunque, è stata per me la resa finale alla solitudine. Ora non solo non ho più nessuno, ma nessuno sa di me, nessuno sa chi sono, nessuno scambia delle parole con me.
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    L'assommoir di Zola è stata una lettura perfetta per il mio io razionale. Ricorda i romanzi di Verga ovviamente: la trama segue le vicende della lavandaia Gervaise, che cerca di affermarsi in un contesto tutto in salita per i poveri e gli ultimi. Anche quando le sue idee si concretizzano, anche quando sembra che tutto vada ben oltre le più rosee aspettative, un capitombolo riporta questi antieroi popolari al punto più infimo dell'esistenza.
    Gervaise parte con basse aspettative: un cantuccio in cui dormire e morire nel proprio letto. Nel corso della storia sembra ottenere molto più di quanto sperato: un marito amorevole, una bottega laboriosa e redditizia, pranzi ricchi di carne. In poco tempo tutto precipita, ed effettivamente Gervaise non riesce a soddisfare nemmeno il desiderio più elementare di morire nel suo letto: la ritroveranno in un sottoscala soltanto per il cattivo odore emanato dal cadavere.

    Il significato della vita
    I nostri sforzi maggiori sono dedicati ad avere una vita appagante. Io non mi chiedo più nulla, ho finito anni fa di chiedermi se fossi felice. Lo sono? Probabilmente no. Probabilmente, il mio desiderio di affermazione professionale, la mia fame di curiosità, di sapere, di intelligenza, mi ha portato a trascurare tutto il resto che la vita può offrire.
    Sembra di essere tornato nel periodo del più profondo isolamento, con la differenza che ora ho 30 anni, molte cose non si aggiustano più. Ecco cosa mi fa empatizzare con i personaggi del verismo e del realismo letterario: dopo tanto ingegno, arriva un momento in cui la strada è chiusa e tutto precipita. Come la chiusura della bottega di Gervaise: il marito beveva i guadagni, senza più contribuire all'economia famigliare. Il disgusto verso quella persona così cambiata e l'inettitudine di Gervaise, quel senso di passività e rassegnazione a quanto accade, spingono Gervaise tra le braccia di un antico amante, nonostante speri solo che ciò finisca il prima possibile. Gervaise non tradisce, non pensa all'antico amante con lussuria, ma vive il tutto, tutta la propria vita come un'incombenza. E' per questo infatti che cade ai piedi del becchino ad un certo punto, pregandolo di portarla via per sempre.
    Nella morte la sofferenza tace, tutti torniamo uguali, le nostre vite dimenticate appaiono quel che sono: un breve sogno da passare storditi, in un modo o in un altro, con l'amore, con il lavoro, con le sostanze. Qualsiasi cosa pur di non pensare.

    Qual è il senso della tua vita?
    Hai già dato un senso alla tua esistenza? Qualcosa che ti dia l'illusione che non stai sopravvivendo ma vivendo. Io ho terminato, non ho più questa domanda, attendo. Lavoro e attendo. Gli studi dicono che un asociale come me ha il 50% di possibilità in più di morire rispetto ad una persona socievole. Evidentemente perché essere da soli significa privarsi di qualsiasi possibilità di aiuto.
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    Quest'oggi mi sono recato a fare qualche acquisto per il mio guardaroba. Anche un asociale deve adempiere a questa incombenza.
    Da perfetto asociale, non avendo nessuno che mi accompagnasse, sono venute con me mia madre e mia zia.
    Sulla macchina mi sono beccato una ramanzina da parte di mia madre, se così si può definire un'osservazione di rimprovero fatta a un trentenne indipendente. Sostiene che io, rispetto a mio fratello, sono un <<cane solo>> che non ha mai fatto nulla per avere dei rapporti sociali solidi, ma soltanto inventato talmente tante scuse da allontanare chiunque. Ehi, ha ragione, certo, ma evidentemente non si rende conto che l'asocialità richiede parecchia organizzazione, è come un secondo lavoro a tempo pieno, h 24.

    Solitudine durante la scuola media
    Insomma, se qualcuno è arrivato a leggere qualche frammento di questi ricordi confusi, non si stupirà di certo sapendo che durante le scuole medie ero totalmente privo di contatti, io stesso li schivavo.
    Avendo fatto esperienza del bullismo, preferivo tenermi ben lontano da chiunque, con l'unico obiettivo di evitare guai.
    Sarebbe stato meglio reagire subito, prima che il ruolo di vittima sfigata mi si cucisse addosso come un vestito realizzato dal miglior sarto. Piangevo molto, venivo costantemente minacciato. A quei tempi, quasi tutte le mattine prima di entrare a scuola, portavo con me della cioccolata che distribuivo in classe. Lo vedevo come un trucco per frenare la volontà di violenza dei miei nemici. A volte funzionava, ma non è che mi abbia risparmiato molti traumi fisici e psicologici. Bastava che l'insegnante si assentasse per breve tempo, che io mi ritrovavo a prendere pugni o schiaffi. Ero talmente abituato che nemmeno li sentivo più, al punto che davvero, con il senno di poi, avrei dovuto ribellarmi subito.
    Una sola volta, durante le scuole medie, andai ad un camposcuola con gli altri. Fu terribile: senza alcun motivo, e davanti a studenti anche di altre classi, ricevetti anche lì la mia dose di umiliazioni quotidiane che mi servirono a pensar bene nelle volte successive. E così non partecipai più ad alcun camposcuola, nessuna gita. Fui io a ritrarmi da tutto.

    L'ultimo festeggiamento
    L'ultima volta che festeggiai qualcosa, avevo circa 12 o 13 anni. Era un compleanno, durante le scuole medie, nel quale invitai una decina di persone, tra cui il capo dei miei bulli. Era pura diplomazia, una strategia finalizzata a dimostrare amicizia per evitare problemi futuri.
    La festa fu abbastanza un disastro, quei dieci scalmanati, incapaci anche di rimanere seduti educatamente, non solo si fecero notare, ma successivamente vollero andare al parco a giocare a lanciarsi i sassi. Erano circa le 22.30, avevamo finito di mangiare, io rimasi da solo nel locale, con mia madre e mio padre che mi guardavano come se per la prima volta potessero intuire chi fossi davvero: un solitario a cui nessuno davvero prestava la minima attenzione.

    L'adolescenza
    Il primo ricordo del liceo è impresso come un marchio sulla carne, ma questa volta positivamente. Ho frequentato il liceo classico e ricordo che nelle lezioni di orientamento, prima dell'inizio dell'anno, la scuola regalò a tutti un segnalibro, dove appariva in grassetto l'espressione "Hic manebimus optimae", ovvero "qui staremo benissimo". Sul segnalibro si raccontava una vicenda mitica che aveva interessato Roma: a seguito di un terremoto, il Senato era in procinto di decidere se ricostruire la città di Roma sulle rovine, o spostarsi nella vicina Veio. Da fuori, si sentì il chiaro ordine ad un soldato di piantare il gonfalone a terra: "hic manebimus optimae". L'ordine fu interpretato come un presagio positivo, che spinse il Senato a optare per la ricostruzione.
    Effettivamente questo fu il liceo: un benevolo rifugio di cortesia e cultura, una palestra per la mente, rispetto al vuoto e alla desolazione che regnavano attorno.
    A quel punto, tuttavia, fui io a dimostrare una natura ribelle. Era l'età dell'adolescenza, non avevo avuto amici prima, ed ero finalmente deciso a ricostruire, a sistemare le cose e a cominciare qualcosa di nuovo e di buono, con un gruppo di amici vero.
    Andò così a lungo. Ero una specie di nuova matricola apprezzabile e ammirata fin da subito: il sabato bevevo, spesso mi ubriacavo, e poi presto arrivò anche la cannabis. Io non mi facevo mancare nulla, e con le mie bestemmie offendevo l'animo di quelle persone pudiche che mi sembravano seguire pedissequamente gli indirizzi genitoriali e sociali, sfuggendo a quella che vivevo come una vera e propria sinistra sociale, infantile, gioiosa.
    Andò bene per tutti quegli anni e all'inizio anche dopo.
    Nonostante il sabato sera, nonostante la frequenza sempre maggiore di giorni passati in stato di stordimento, a scuola andavo piuttosto bene. All'università ancora meglio, e lì mi stordivo praticamente quotidianamente.
    Dopo il liceo studiavo da fuori sede, rifugiandomi durante le vacanze nei miei luoghi di origine, che all'inizio mi sembravano immutati. Per me era un vero piacere sentire le storie di compagni che zoppicavano, che sembravano dei piccoli pulcini smarriti nella transizione dal liceo all'università, mentre io invece volavo come un'aquila, viravo, piroettavo nella vita, apparendo brillante e interessante.
    Eppure, nonostante ci misero più tempo, anche gli altri pulcini cominciarono a volare. Ogni tanto andavano contro gli alberi, sgraziati, ma a forza di inciampi trovavano anch'essi la propria strada. Scoprii allora, che mentre mi sentivo il perno del mio gruppo di amici, ero in realtà un ingranaggio dello stesso peso di tutti gli altri. Io avevo deciso che i miei amici del liceo sarebbero stati la mia vacanza, loro avevano per se stessi altri piani, e puntavano a realizzarsi. Per tanto tempo li ho visti smarriti, però hanno cercato di costruire anche nei rapporti sociali. Ci sono effettivamente riusciti, io mi ero tuffato sullo studio, come poi mi sono tuffato nel lavoro, e per me non esisteva altro.

    Io, vagabondo che son io
    Non mi bastò studiare in un'altra città. Rinnovavo spesso l'esperimento andandomene all'estero, riuscendo facilmente grazie al mio focus sullo studio.
    Negli anni dell'università ho avuto una fidanzata, per tre anni, che effettivamente mi allontanò dalla mia consueta asocialità, tuttavia, ricordo che al momento della rottura, mi accusò anche di voler stare troppo tempo da solo, disse qualcosa come: "a volte mi sembri un asociale". Evidentemente quella cosa ti si cuce addosso, nei pensieri, negli atteggiamenti. Non so come è andata, è stato l'incontro tra circostanze diverse: i rifiuti e il bullismo subiti da bambino, lo stordimento anestetizzante che sostituiva la presenza di persone nella mia vita, le chat online, che permettevano di mettere un punto a una conversazione chiudendo una pagina web.
    E fu così, che arrivando ad oggi pomeriggio, mia madre mi ha ricordato le capacità sociali di mio fratello, che non solo ha tanti amici, ma anche una ragazza. Non come me che non faccio altro che starmene da solo ed evitare le occasioni sociali e le feste. Io la prendo sportivamente: sono sempre stato quello intelligente e studioso, quello bravo a studiare e a lavorare (tipo una bestia da soma?) e dunque mi sembra giusto che mio fratello eccelli in altre arti. D'altronde, non è forse vero? Avrei davvero il coraggio di dar torto a mia madre? Temo le feste, non mi piace essere invitato, mi preoccupa la possibilità di essere invitato a matrimoni, compleanni e feste di qualsiasi tipo, odio i social network (l'asociale deve socializzare rimanendo anonimo!). Insomma, sì, sono un asociale e mi sono abituato ad esserlo.
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    Si è scritto che le cure amorevoli garantiscono la sana crescita del bambino, permettendo l'ingresso nelle altre età serenamente. Effettivamente, sono state riscontrate diverse problematiche comportamentali negli individui che non hanno ricevuto forma alcuna di amore.
    Ma questo, non è il luogo adatto in realtà. In questa quarta confessione, scavo in rapporti che non sono famigliari, che segnavano forse un tentativo di costruzione ... prima che tutto crollasse, penso ridendo.

    Il primo ... amore?
    La mia prima ragazza? Non era un amore vero, era qualcosa di strano, era la voglia di un adolescente . L'avevo conosciuta perfino online. Non si può dire che non andammo d'accordo, ma mi rendo conto, a posteriori, di ciò che fu: la vanità di un adolescente che aveva rapporti sessuali, sporadici, in incontri pianificati e sempre assolutamente troppo lunghi, con una ragazza di due anni più grande.
    Però, a parte questo, fortunatamente è stata lei che interruppe il rapporto. Ci stetti anche male in realtà, ricordo di aver scritto a matita, molto lievemente, la data in cui aveva voluto rompere su un angolino della mia camera. Oggi però quella scritta nemmeno si vede più, chissà perché presi una decisione tanto stupida. In fondo mi importava davvero?
    Seguirono tutta una serie di piccolissime e insignificanti storie, sempre adolescenziali, in cui di solito ero io il primo a chiudere la frequentazione, per scarso interesse. In sostanza, credo che mi piacesse conquistare la fiducia della ragazza, e magari mi entusiasmava anche il momento in cui palesava il suo interesse. Io non l'ho mai fatto per primo, è un lavoro troppo faticoso no? Ma tornando a quei rapporti, una volta che sentivo che l'altra persona era innamorata, in quel momento, proprio in quello stesso momento, mi sentivo facilmente prigioniero di un vortice nel quale in fondo non avevo interesse a stare. Inizialmente sopportavo, come a voler dire: <<ormai le uova sono rotte e la frittata è fatta>>, ma dopo poco la stanchezza superava qualsiasi remora e tornavo a liberarmi, solo, lontano da quelle appiccicose cure d'amore dovute unicamente ad un desiderio inconscio di ricevere accettazione e apprezzamento.

    Un primo amore, o quanto meno qualcosa che vi assomigliava
    Dunque, ad un certo punto comincio a subire qualcosa come delle avances da parte di una mia amica storica. Parliamo ovviamente di diversi anni dopo i fatti precedenti, ero da poco all'università. E dunque, questa mia amica storica, tanto per complicare la faccenda, era anche fidanzata. Non me ne preoccupai tanto, tu lo avresti fatto? No di certo. L'egoismo, a quanto pare, è connaturato alla natura dell'uomo e io sono convinto che abbia determinato la sua sopravvivenza quanto l'amore. Evidentemente i miei avi si sono affidati più all'egoismo che all'amore, se io sono di questa specie.
    Dunque galeotto fu un incontro, che andò bene. Intendiamoci, in realtà ero talmente agitato che ho combinato una serie di disastri che mai esporrò alla luce del sole, rimarranno nelle ombre con me, con il mio povero io nascosto.
    Se mi sentivo innamorato? Questa volta sì, ma poi lei, dopo circa un mese, volle tornare sui suoi passi. Un bel casino vero? Ecco perché evidentemente non conviene trasformare l'amicizia in qualcosa di più. Devo essere sincero? In fondo avrei fatto la sua stessa scelta, e non tanto perché la storia che aveva alle spalle era comunque consolidata e lunga, ma perché stare con me non è facile. Se siete arrivati fin qui, ve ne sarete accorti, e inoltre, se davvero qualcuno è arrivato fin qui, penso che anche lui deve essere un tipo parecchio problematico. La vita da asociale, è una vita a tempo pieno sai? Immagina quanto tempo bisogna dedicare, noi asociali, a inventare scuse nei contesti rispettabili su come passeremo una qualsiasi festa. Voglio dire, se tutti hanno da fare a natale e a pasqua, evitare di dover fare regali è un ottimo vantaggio, ma non puoi raccontare a tutti questa verità, il mondo non è pronto.

    Un amore forte e intenso
    Ma il mio grande amore fu più avanti, sempre durante quegli anni universitari. Era una compagna di corso, con la quale era nata un'amicizia non sempre pacifica, ma comunque un'amicizia, una conoscenza. Nel giro di pochi anni, beh, non è importante, praticamente si dichiarò una volta che ci conoscemmo meglio (certo, ovviamente non mi dichiarerei mai e poi mai io, non è un compito che mi entusiasma).
    Questa volta durò: tre anni. Inizialmente non fu facile, ebbi molte difficoltà a condividere i miei spazi e ad uscire dalla confortevole e inebriante condizione di asocialità. Tuttavia, nel tempo, non senza patimenti, soprattutto per lei, ci riuscii. Evidentemente, questa volta, ero talmente innamorato da voler fare dei compromessi. Fu la prima volta nella mia vita, anche l'unica.
    Questa volta anche la rottura fu sofferta: si innamorò di un altro. Tornò poi sui suoi passi. Ad oggi mi sembra davvero una motivazione futile di rottura, tutti si sentono affascinati da altre persone, e quella poveretta, in fondo, che aveva fatto? Gli aveva dato un bacio una volta (o meglio era stata baciata e aveva accettato il bacio per poi ritrarsi pentita). E' un motivo davvero reale per una rottura? Beh, sinceramente non lo è, non si può pretendere che le persone non sbaglino mai, e un errore lieve può essere perdonato. Non so con che faccia gli rinfacciai questa cosa fino a farla soffrire, quando invece io usavo avere "rapporti testuali (?)" con persone conosciute online, una specie di sfizio che non vedevo come un tradimento dato che non comportava nulla di persona, ma che mi faceva fantasticare anche sul proibito, tutto qua. Se lei dunque non era perdonabile, come potevo esserlo io?
    Eppure ... il mio orgoglio, ferito, evidentemente autoritario dato che pretendeva di poter essere l'unico a sbagliare, preferì spingere fino a demolire le ultime possibilità di ricostruzione. Da allora non mi sono mai più innamorato, non ho più avuto nemmeno rapporti brevi, eppure, non tornerei indietro.
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    Siamo in perenne evoluzione? Oppure non cambiamo mai? O evolviamo per poi tornare ai nostri vizi e alle nostre debolezze? Quante dipendenze ritieni di avere? Sei un membro ben integrato in questa società?

    La fermata del bus
    Quindici anni fa, le persone in attesa del bus erano diverse, sono cambiate. Quindici anni fa, nelle zone di periferia, le fermate del bus erano degli spazi in cui le persone attendevano guardando dritto a sé. Altri si conoscevano, e ne venivano fuori sempre belle conversazioni. Ho un buon ricordo delle fermate dei bus, quindici anni fa erano un appuntamento fisso: 07.20 per andare a scuola, 13.30 - 14.00 per il ritorno. In realtà, quando ebbi compiuto 18 anni e cominciai ad andare a scuola con la macchina, ero ben lieto di essermene liberato: calca di persone in attesa di salire lottavano per guadagnarsi un posto a sedere. L'arrivo del bus era una scena di grande suspense: mentre rallentava, le persone studiavano con attenzione la frenata per calcolare il punto esatto in cui avrebbero incontrato la porta. Era fondamentale, riuscire a intuirlo significava avere maggiori possibilità di un posto a sedere. A volte, in vero, la calca presente già a vista sul bus rendeva vana ogni fantasia di riposo, ma era forse ancora più importante intuire il punto della porta del bus, in quanto ciò avrebbe potuto fare la differenza tra il salire sul bus e rimanere a terra nell'attesa del successivo. Poi un giorno queste abitudini cambiarono anche qui, le persone, con la testa china, avevano trovato tutte un nuovo passatempo. Quello fu il giorno in cui cominciai a intuire di essere diventato vecchio, nonostante avessi forse 16 anni. Le conversazioni alle fermate si fecero più rade, e quando cominciai a rifletterci, un po' di anni fa, l'evoluzione delle abitudini umane era compiuta e irreversibile.

    Smartphone e social network
    Inizialmente questa cosa dello smartphone sembrava roba per pochi, ma fu davvero un breve momento. In poco tempo ebbe talmente successo che cominciarono a sfornarne di qualsiasi tipo e per qualsiasi fascia di reddito. Chiunque adesso ha uno smartphone. Esso era effettivamente, come già disse qualcuno in tempi meno sospetti un computer tascabile. Le persone utilizzavano allora i mezzi che normalmente utilizzavano a casa, dopo scuola, dopo lavoro, in ogni momento della propria vita quotidiana. Prima fu facebook: le persone cominciarono a utilizzarlo oltre l'orario del leisure time. Quando arrivò instagram fu come una nuova droga che si abbatteva su tossici già impigriti.
    Io ne fui colpito, ne volli rimanere fuori. Non ho mai avuto un account instagram, e dopo poco, comunque, cancellai anche il mio account facebook. Zero contatti (ricordi? Ricordi il mio io? Quando ti dissi che non ho alcun rapporto sociale, ebbene ... mi viene da ridere: sono un asociale, lo avevi capito?

    A te va bene?
    Ti piace questo mondo così forgiato, così mutevole e sempre noioso? Sei a tuo agio nella vita, oppure non è altro che un simulacro, una lunga attesa dell'unico momento che ti sembra abbastanza interessante da condividerlo, vero? Immagino che ti ci potresti rivedere ...
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    Quando non hai più alcun rapporto sociale, all'infuori del lavoro, diventi un fantasma nella città.
    Quell'antico potere agognato e fantasticato, di invisibilità, è in me: vivo il tempo di uno spillo d'acqua che cade da una foglia d'autunno, nello sguardo di un passante. Ma come è cominciato tutto?

    Il rifiuto come momento fondativo
    Doveva essere nei primi giorni di quel limbo di istruzione che si chiama scuola media, un posto dove confluiscono persone troppo diverse per riuscire a concordare una strategia pacifica di convivenza. Non ricordo bene il motivo, ma mi ritrovai vittima delle minacce di un ragazzo. Non ci diedi peso, credevo fossero solo parole, e invece proprio davanti all'uscita della scuola, cominciò a prendermi a calci. Non mi fece male, in realtà, ma forse rimasi paralizzato da tanta cattiveria e da quel rifiuto. Forse fu in quel momento, che la mia testa, il mio cervello, cominciarono a vedere negli altri qualcuno di cattivo, sempre proteso a umiliare e fare del male, come se la società fosse tutta votata all'insegna dell'homo homini lupus. Eppure, mi avevano insegnato i valori della meritocrazia. Alla società non interessa la meritocrazia, interessa solo l'apparenza.

    Domande per il tuo io
    Allora? Hai colto qualcos'altro di me questa volta? Troverai qualcosa del mio io in te, nei momenti in cui ti sei sentito umiliato e messo alla porta, nei momenti in cui hai conosciuto la solitudine completa, semmai tu l'abbia davvero conosciuta. Dicono che quella cosa uccida gli uomini, perché tutti hanno una natura di animale sociale, perché la natura di animale sociale è stata ciò che ha permesso all'uomo di arrivare al suo attuale stadio evolutivo, facendo la differenza tra l'estinzione e la vita.

    E io invece esisto solo avvolto dalle nubi, non cercare di scostarle con la pretesa di vedere cosa c'è dietro, ora decido io cosa mostrare e cosa nascondere, e non mi fido più di nessuno, se non del mio io.
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    Sembra che questo diverrà lo spazio di espressione del mio io, un posto che si perderà nel web sconfinato, come fosse una stella celata da nere nubi, ai confini dell'universo, in una galassia remota.

    Perché il mio io è nascosto?
    Vale davvero la pena aprirsi in un mondo che non ha interesse alcuno all'ascolto? Siate felici, voi altri, viandanti annoiati, nell'esprimere quel frammento della vostra vita su un social, raccontando ai più la storia di quell'ora in cui quel giorno vi siete sentiti realizzati. Viandanti, mostrate a tutti quanto è effimero quel momento fissandolo nel web, quasi da volerlo rendere infinito. Eppure il vostro io sa come state davvero.

    Chi sono io?
    Ogni risposta a tempo debito, pian piano, protetto da quelle dense nuvole nere e da una grafica che non attrarrebbe la minima attenzione, il mio io lascerà tracce di sé, sparse come pillole nei singoli post che disattenderanno il vostro interesse. Ah, sono un lettore insaziabile, e quanto mi piace scrivere. Questo è il primo messaggio che il mio emette in questa isola nascosta. Un piccolo indizio, di nessun interesse.

    Una domanda per te?
    Non sei tu stesso, viandante annoiato, a chiederti il perché della tua breve permanenza? Suvvia, questo non è un social, e neanche un'osteria.
7 replies since 27/3/2024
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