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    PARADISO CANTO 21 - SETTIMO CIELO DI SATURNO: SPIRITI CONTEMPLANTI (prima parte)

    Saturno-pianeta
    Saturno: l'unico pianeta con gli anelli, la cui origine è tuttora ignota. I greci gli attribuirono il nome di Crono (dio dell’agricoltura e del tempo; Saturno, per i Romani) perchè Saturno - l'ultimo pianeta del Sistema Solare osservabile ad occhio nudo - ha il moto di rivoluzione (il giro attorno al Sole) più lungo di tutti i pianeti osservabili allora, quindi si credeva che fosse il custode del tempo.


    CIELO DI SATURNO

    Senza rendersene conto, Dante, con Beatrice, è salito al Settimo Cielo di Saturno, quello degli Spiriti Contemplanti. Dante torna a volgere il suo sguardo a Beatrice e si accorge che lei, stavolta, non sorride, come fa di solito. E Beatrice gli spiega che, se adesso lei sorridesse, il poeta verrebbe ridotto in cenere, come accadde a Semele di fronte a Giove. Semele era la figlia di Cadmo, re di Tebe, e divenne l'amante di Giove, dal quale generò Bacco/Dioniso. Giunone, desiderosa di vendicarsi, le apparve con le sembianze della sua nutrice e la convinse a chiedere a Giove di manifestarsi con tutta la sua maestà divina, cosa che il dio fece, dopo aver invano cercato di dissuaderla. Al suo apparire in tutta la sua maestà, Semele fu tramutata in cenere.

    Giove-e-Semele
    Giove e Semele.


    Infatti la bellezza di Beatrice accresce man mano che si sale di Cielo in Cielo: da adesso in avanti il suo splendore dev'essere temperato agli occhi mortali di Dante.

    E quella non ridea; ma «S’io ridessi», (E Beatrice non sorrideva; ma cominciò a dirmi: «Se io sorridessi,)
    mi cominciò, «tu ti faresti quale (tu diventeresti tale quale)
    fu Semelè quando di cener fessi; (divenne Semele quando fu incenerita;)

    ché la bellezza mia, che per le scale (infatti la mia bellezza, che, man mano che saliamo le scale)
    de l’etterno palazzo più s’accende, (del palazzo eterno (il Paradiso), s'accresce,)
    com’hai veduto, quanto più si sale, (come hai visto,)

    se non si temperasse, tanto splende, (se non fosse temperata splenderebbe a tal punto)
    che ‘l tuo mortal podere, al suo fulgore, (che la tua vista mortale, al suo fulgore,)
    sarebbe fronda che trono scoscende. (sarebbe un ramo abbattuto dal fulmine.)

    Beatrice spiega a Dante che ora sono al Settimo Cielo di Saturno, che è congiunto alla costellazione del Leone e diffonde sulla Terra il suo influsso mescolato a quello della costellazione stessa:

    Noi sem levati al settimo splendore, (Noi siamo ascesi al Settimo Cielo,)
    che sotto ‘l petto del Leone ardente (che sotto la costellazione ardente del Leone)
    raggia mo misto giù del suo valore. (diffonde sulla Terra il proprio influsso mescolato a quello della costellazione stessa.)

    Beatrice parla della costellazione del Leone perchè, nel marzo-aprile del 1300, quindi il periodo in cui è ambientata la Commedia, Saturno era in congiunzione appunto con la costellazione del Leone. Poi Beatrice avvisa Dante dovrà osservare con molta attenzione quello che vedrà e fissarne bene l'immagine nei propri occhi. Il godimento del poeta nel guardare l'aspetto di Beatrice è intenso, ma, quando passa a guardare lo spettacolo del Settimo Cielo, come le dice di fare Beatrice, quello che vede gli causa una gioia altrettanto grande: è come se le due cose si bilanciassero.

    IL MITO DI SATURNO

    Il Cielo di Saturno porta il nome di colui che Dante chiama "caro duce / sotto cui giacque ogne malizia morta", cioè, "la divinità sotto la quale ogni malizia fu stroncata". Dante si riferisce alla mitica "età dell'oro", secondo cui Saturno, dopo essere stato spodestato dal figlio Giove, regnò nel Lazio in un periodo chiamato età dell'oro, di pace e progresso, in cui l'umanità era felice. Poi Saturno scomparve misteriosamente, causando la decadenza progressiva dell'umanità. Questo però riguarda soprattutto la tradizione latina e romana; nella tradizione greca, invece, Saturno era chiamato Crono ed era un Titano, figlio di Gea (divinità primordiale della Terra) e Urano (divinità primordiale del Cielo). Sposò la sorella Rea ed ebbe molti figli, che però divorava per impedire che uno di loro possa diventare più forte di lui e spodestarlo, come dicevano le profezie. Visto che i suoi figli erano immortali, non li poteva uccidere: per questo li divorava, facendoli così ritornare dov'erano. Infatti Crono significa "tempo" e questo dio simboleggiava il passare del tempo, che alla fine distrugge, divora, ogni cosa.

    Crono
    Saturno, o Crono, con la falce (perchè è il dio dell'agricoltura) e sul punto di divorare il figlio.


    Un giorno, Rea, incinta di Giove (Zeus), decide di partorire di nascosto a Creta, consegnando a Crono una pietra simile al neonato, che lui divorò. Giove, una volta cresciuto, spodestò Crono, divenendo il re dell'Olimpo e facendogli rigurgitare i figli che aveva divorato: Estia (dea della casa e del focolare; a Roma era detta Vesta, da cui le Vestali); Demetra (dea delle messi), Era (anche Hera o Giunone: divenne la moglie di Zeus), Ade (dio degli inferi), Poseidone (dio del mare). Zeus mandò Crono nel Tartaro; successivamente, perdonò il padre, che divenne re dell'Isola dei beati, dove sono destinati da Zeus gli Eroi, lì felici e liberi dagli affanni. In un'altra versione di Diodoro Siculo, Crono divenne re sulla Terra (probabilmente a Creta), e, grazie a lui, gli uomini passarono dallo stato selvaggio alla civiltà. Insegnò agli uomini ad essere probi e semplici d'animo, e al tempo di Crono furono giusti e felici. Appunto l'"età dell'oro" citata da Dante.

    LA SCALA D'ORO

    Dante, quando osserva il Cielo di Saturno, vede una scala dorata, come illuminata dal Sole, che ascende verso il Cielo, tanto che non riesce a vedere dove finisca. E vede che lungo quella scala scendono tante luci, che Dante riconosce come gli Spiriti Contemplanti. Questi spiriti beati si fermano e compiono vari movimenti su ogni gradino: Dante li paragona ai corvi grigi, quando si muovono al mattino per scaldarsi e alcuni volano via senza fare ritorno, altri tornano al punto da dove erano partiti, altri ancora volteggiano nello stesso posto.

    di color d’oro in che raggio traluce (io vidi una scala dorata e scintillante dei raggi del Sole)
    vid’io uno scaleo eretto in suso (che saliva verso l'alto,)
    tanto, che nol seguiva la mia luce. (tanto che non ne potevo vedere la fine.)

    La "scala" descritta da Dante richiama la famosa Scala di Giacobbe, uno dei patriarchi dell'Antico Testamento, descritta dal libro della Genesi (capitolo 28, versetto 12 e seguenti): "Giacobbe...si diresse verso Carran. Capitò allora in un certo luogo, dove si fermò...e sognò di vedere una scala che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo. Ed ecco: gli angeli di Dio salivano e scendevano per essa." Poi Dio gli compare, dicendo che benedirà la sua discendenza, che sarà numerosa: è l'annuncio del futuro popolo di Israele. "Giacobbe allora si svegliò dal suo sonno...ebbe paura e disse: "Com'è terribile questo luogo!" ("Terribilis est locus iste", in latino. In un'altra traduzione, "Questo luogo incute rispetto". E' la scritta che compare sul portale d'ingresso di diversi edifici religiosi, come le chiese e i santuari: essendo luoghi sacri, la frase latina richiama al rispetto da parte di chi ci entra. Anche perchè in questi luoghi c'è effettivamente "la scala che porta al Cielo" e collega Cielo e terra).

    Scala-2
    La Scala di Giacobbe, raffigurata da William Blake. L'altra immagine dà il senso dell'infinito di una scala che collega cielo e terra.


    Poi Giacobbe disse: "Questa è la casa di Dio" ("Betel" in ebraico) e la porta del cielo!" Giacobbe chiamò quel luogo Betel." Si tratta di un'area a 18 km a nord di Gerusalemme, dove ora si trova un villaggio musulmano. Prima di Giacobbe, fu suo nonno Abramo a piantare lì le tende ed erigere un altare. Dopo il sogno di Giacobbe, quel posto divenne il santuario di Betel, che fu il primo santuario della Palestina fino all'avvento della monarchia, con Saul e Davide. Essendo un luogo di confine tra i regni di Giuda e d'Israele, dopo lo scisma, Geroboamo, il re d'Israele, mise a Betel l'immagine del vitello d'oro e da allora Betel divenne santuario idolatrico. Rifiorì poi col cristianesimo: S. Girolamo, con S. Paolo, visitò la chiesa di Betel costruita sul luogo della visione di Giacobbe. Restano ancor oggi le rovine della torre e della chiesa costruita dai Crociati.

    Riguardo al curioso riferimento di Dante ai corvi grigi (detti "pole" nel poema), ai quali il poeta paragona le anime dei beati contemplanti, il poeta fa così perchè, per tradizione, i corvi grigi sono accostati agli eremiti, per via del loro carattere solitario, e anche perché, secondo una leggenda, i corvi grigi furono assai cari a san Benedetto, fondatore dei Benedettini, e lo seguirono da Subiaco a Montecassino, dove nidificarono.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xxi.html
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    39 - UNA LETTERA DALL'INDIA

    Peline dorme nella sua nuova camera, quando, alla mattina, sente martellare: si tratta di Paul, il fratellino di Rosalie, che sta preparando una cuccia per Barone. Peline si alza e va sul balcone (in vestaglia da notte, tra l'altro):
    "Paul, che stai facendo a quest'ora? Una cuccia? Oh, è molto bella!"
    "Manca solo il tetto" specifica Paul.
    "Però fai troppo rumore alla mattina presto. Non lo dico per me, ma anche gli altri adesso stanno dormendo nell'albergo."
    "Oh, non si preoccupi, signorina Aurelie" dice l'albergatore, che compare in quel momento "Gli ho dato il permesso. A tutti i clienti dell'albergo piace Barone."
    "Oh, allora va bene" replica lei, tornando dentro e iniziando a lavarsi la faccia. Poi si veste e va al lavoro, salutando Paul e ricordandogli che dopo deve andare a scuola.

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    Una volta arrivata in ufficio, Peline ritaglia le notizie sulla tessitura dal giornale e va da Pandavoine con la cartelletta in mano: riguardano l'lndia. Nel frattempo, Pandavoine redarguisce Toluel per la faccenda di una macchina della fabbrica che non funziona da tempo e non è stata ancora controllata.
    "E' una macchina che avrà vent'anni, signor Pandavoine" si giustifica lui.
    "Ma l'avete controllata? Avete verificato se era il caso di cambiarla davvero o se bisogna solo cambiare qualche pezzo?"
    "Ecco..."
    "Non possiamo spendere soldi inutilmente. Andrò a vedere di persona. Aurelie, vieni con me."

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    Lei e il nonno si avviano per le vie della fabbrica, incrociando diverse persone.
    "Buongiorno, signor Pandavoine."
    "Buongiorno, Pascal. Vanno bene le cose nel tuo settore?"
    "Certo."
    "Lei riconosce tutti, signor Pandavoine?" chiede Aurelie sorpresa, visto che lui è cieco.
    "Se no, non potrei gestire l'azienda" risponde. E Pandavoine si ferma all'improvviso: ha sentito qualcuno sbadigliare nel magazzino, e la persona che l'ha fatto si trova davanti il suo principale in persona.
    "Signor Pandavoine, io..."
    "Jacques, cosa ci fai qui in magazzino? Non dovevi occuparti delle tue cose?"
    "Certo, stavo proprio per farlo, signor Pandavoine" e si allontana di fretta.
    "E' uno sfaticato, l'avevo già redarguito prima" commenta il vecchio.

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    Quando arriva alla macchina rotta, il tecnico gli spiega che si tratta di una ruota dentata danneggiata.
    "Quindi basterebbe cambiare la ruota? Bene, fatevela procurare, poi fatemi sapere" conclude Pandavoine.
    Peline è commossa per lo zelo del nonno che vuole controllare ogni cosa, ma sa che lui è da solo e cieco, nonostante la sua volontà. Quando ritorna, Pandavoine rimprovera Toluel per non aver controllato l'impianto a dovere.

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    Nel frattempo, arriva l'ingegner Fabry con la posta e incrocia Theodore, che lo osserva incuriosito: è molto interessato alla posta e origlia alla porta di Pandavoine.
    "Si tratta di dieci lettere francesi, ma una è in inglese, signor Pandavoine" spiega Fabry.
    "E' un francobollo strano" commenta Toluel "Credo che venga dall'India."
    Pandavoine sussulta e dice:
    "Datelo a me. Il resto lo controllerò più tardi. Potete andare."
    Poi chiama Aurelie/Peline.
    "Aurelie, controlla fuori dalla porta, e vedi se qualcuno origlia" dice subito lui. Peline controlla e vede che non c'è nessuno. Ma Theodore, che si era allontanato in tempo, poi torna indietro per origliare.
    "Va bene, leggimi questa lettera" dice Pandavoine alla ragazza. Peline la apre e dice:
    "La manda un certo Padre...Filder. Ha una brutta calligrafia, non si legge molto bene. Avrei bisogno di un dizionario..."
    "Non mi interessano i dettagli, fammi solo un riassunto."
    "Sì...dunque...ha dei periodi piuttosto lunghi, è dispersivo...faccio fatica ad afferrare il senso subito."
    "Va bene, scrivimi allora un resoconto completo. Vai a tradurre. Ah, Aurelie: questa è una lettera privata. Nessuno deve sapere niente di quello che c'è scritto."
    "Sì, signor Pandavoine."
    Peline si avvia verso il suo studio e Theodore scappa via subito, perchè si era nascosto proprio lì per ascoltare. Quando esce, una dipendente, la signora La Sec, lo vede e lui la saluta imbarazzato.

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    Peline apre il dizionario e inizia la traduzione: rimane sconvolta nel capire che la lettera parla di suo padre, di sua madre e di lei.
    "I fatti si sono svolti tempo fa" racconta la lettera "Il signor Edmond Pandavoine si era sposato con miss Mary Stevenson: una donna bella, intelligente, generosa. Si spostarono a Dethra con la figlia di tre anni."
    Peline piange tenendo stretta la lettera. Nel frattempo, Toluel, che è fuori dall'edificio, vuole sapere dov'è Theodore. La signora La Sec gli dice che lo aveva visto nelle vicinanze dello studio di Pandavoine.

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    Intanto, Theodore entra nello studio di Peline: lei nasconde subito i fogli e chiede cosa vuole.
    "Oh, volevo solo prendere un vocabolario inglese-francese"
    "Ma lei non sa l'inglese..."
    "Bè, lo sto studiando. Mi sembra che la traduzione della lettera a mio zio stia andando bene, eh?"
    "Sì, sta andando bene."
    "Posso vedere come va?"
    "Mi dispiace, non potete leggerla."
    "Ma tanto me lo dirà mio zio, no?" risponde lui stizzito.
    "Allora ve lo dirà lui, io non ve lo posso dire."
    "Brutta..."

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    In quel momento, arriva Toluel:
    "Non dovreste essere allo stabilimento di Saint Pepoy, signor Theodore?"
    "Ecco, volevo prendere un dizionario d'inglese."
    "E non lo potete usare" replica lui.
    Peline gli dà il dizionario che stava usando lei, e Theodore se ne va seccato.
    "Quel dizionario vi poteva servire" commenta Theodore.
    "Ne posso fare a meno" replica Peline.
    "Allora la traduzione l'ha già fatta?"
    "Non posso rispondere."
    "Ma io sono il rappresentante del signor Pandavoine, ho il diritto di sapere i suoi affari."
    "Anche quelli personali?"
    "Allora si tratta di cose personali in quella lettera?"
    "Non intendevo questo. Solo, anche per le cose personali?"
    "Il signor Pandavoine è molto malato. Una brutta notizia potrebbe essergli fatale. Potrebbe morire. Capisce quello che sto tentando di dire? Bisogna che io sappia anche dei suoi affari personali per trovare il modo di dirglieli nel modo giusto. Quindi, è giusto che sappia cosa c'è scritto sulla lettera" e si tira subito avanti per afferrare la traduzione. Ma Peline allontana subito i fogli e li mette nel cassetto, dicendo:
    "Non posso darveli!"
    Toluel cerca di afferrare i fogli, ma la mano viene bloccata dal cassetto che si chiude sulle dita di Toluel. Lui tira indietro la mano dolorante, esclamando:
    "Brutta arpia!"

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    Toluel si allontana a denti stretti e Peline va nello studio di Pandavoine.
    "Scusi il ritardo."
    "Ho sentito la tua porta aprirsi due volte."
    "Sì, erano il signor Theodore e il signor Toluel."
    "Lo immaginavo. Hai fatto leggere loro al lettera?"
    "No."
    "Bene, leggimela allora."
    "Dunque, la lettera dice che il signor Edmond è partito da Decca per Dajir, insieme alla moglie e alla figlia. Aveva mandato delle lettere da Dehra, vicino al Tibet, dove si è fermato lì per alcuni anni."
    "Quanti anni?"
    "Non lo dice."
    "E poi?"
    "Dice che l'avvocato Philippe in India non ha potuto incontrare Padre Filder, perchè era in viaggio."
    "Tutto qui? Non c'è dell'altro?"
    "Bè, parla della moglie di Edmond."
    "Hmm?"
    "Dice che la signora Pandavoine era molto bella, intelligente, gentile..."
    "Basta, io non considero quella donna come mia nuora!"
    "Eh? Ma...si sono sposati..."
    "Un matrimonio in India non conta in Francia."
    "Ma...la loro figlia?"
    "Bè, posso darle del denaro. Io aspetto mio figlio. Se n'è andato per colpa di quella donna. Io sento di odiarla. E non voglio sentir parlare della nipote!"
    Peline piange in silenzio.

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    COMMENTO

    LA MADRE DI PELINE

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    Per la prima volta si viene a sapere il nome della madre indiana di Peline: Mary Stevenson. Non è certo un nome indiano, e nel romanzo originale si chiama Marie Doressany. Apparteneva a una casta alta di bramini (è la casta sacerdotale più elevata). Lei e la sua famiglia, però, si erano convertiti alla religione cattolica per merito di Padre Leclerc, coetaneo di padre Filder, l'autore della lettera in questione. Ma chi abbandona la religione induista abbandona anche la sua casta, quindi il proprio rango, le relazioni, la vita sociale. Il fatto di aver abbracciato la religione cristiana li portò a discendere tra i paria. Non è che la conversione al cristianesimo sia una cosa facile nei paesi non cristiani: oltre alla vita sociale, a volte si perde anche la vita stessa (i musulmani per esempio sgozzano i convertiti al cristianesimo). La famiglia Doressany, rinnegata dal mondo indiano, si rivolse verso la società europea, e in particolare si creò un legame di affetto e affari con la famiglia Bercher, una famiglia francese residente in India. Le due famiglie fondarono una fabbrica franco-indiana di mussole (tessuto asiatico prodotto a Dacca, in Bangladesh), la Doressany-Bercher. A casa della signora Bercher, Edmond Pandavoine, il figlio di Vulfran, conobbe Marie Doressany e si innamorò di lei. Il sentimento fu reciproco, e così si sposarono a Dacca, nella cappella di padre Leclerc, contro il volere di Vulfran Pandavoine, il padre di Edmond. Edmond e Marie vissero per quattro anni a Dacca, nella casa dei suoceri Doressany, e lì nacque Peline. Però, ad un certo punto, la fabbrica Doressany-Bercher fece cattivi affari e alla fine fallì. I genitori di Marie, i coniugi Doressany, morirono uno dopo l'altro e la famiglia Bercher ritornò in Francia. Edmond e la moglie partirono con la bambina, che a quei tempi aveva tre anni, per un viaggio di esplorazione a Dalhousie, una città dell'India, per collezionare piante e curiosità di ogni genere per conto di alcune ditte inglesi (fu in quell'occasione che Peline iniziò a conoscere l'inglese). Non tornarono più a Dacca: si stabilirono a Dehra, sulla frontiera del Tibet e dell'Himalaya, dove Edmond, coi suoi affari, guadagnò parecchio. Però conobbe ancora delle difficoltà economiche e alla fine fece il fotografo ambulante a bordo di una carrozza, raggiungendo Sarajevo, in Bosnia. Poi si ammalò di polmonite e morì a Bousovatcha, sempre in Bosnia, lasciando sole la moglie e la figlia Peline: da lì inizia la storia che conosciamo.

    QUESTO MATRIMONIO NON S'HA DA FARE!

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    Come ho scritto qui, in questo episodio Vulfran Pandavoine dice a Peline che il matrimonio di suo figlio Edmond, fatto in India, non ha valore in Francia. Dal punto di vista religioso, ovviamente, questa affermazione non ha senso, visto che il sacramento del matrimonio per la Chiesa Cattolica è sempre valido, dovunque sia fatto. Ma, dal punto di vista civile, le cose erano diverse: a quei tempi, infatti, il codice Napoleonico del 1804 (caratterizzato da un forte anticlericalismo) era ancora in vigore in Francia, e detto codice stabiliva che il matrimonio fosse considerato valido per lo Stato solo se celebrato di fronte a un ufficiale di stato civile. Si trattava di una intromissione illecita dello Stato nelle cose della Chiesa e negli affari personali delle persone. Evidentemente, in India quel matrimonio non era stato celebrato in presenza di un ufficiale di Stato francese: quindi, se era valido per la Chiesa Cattolica, non lo era per lo Stato francese.

    SOTTOTITOLI AGGIUNTI

    I sottotitoli sono stati aggiunti alle scene tagliate nella trasmissione originale: non si vede però il motivo di questi tagli. Forse per questioni di minutaggio, cioè per stare dentro allo spazio di trasmissione permesso. Infatti, si trattava solo dei commenti dei lavoratori, della presentazione delle lettere da parte di Fabry e dei tentativi di Toluel di convincere Peline.

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    L'INDIRIZZO

    Il nome Vulfran Pandavoine è spesso storpiato nelle lettere: qui, per esempio, è chiamato Billflan Pande Van. Inoltre, l'indirizzo dovrebbe essere Maraucourt, visto che vive lì: invece c'è il nome della città di Villeneuve le Roi, che credo che non esista.

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    31 - UN SALUTO DALLA CARROZZA

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    Heidi gioca ancora a morra cinese con la nonna, imparando a contare i gradini delle scale.
    "Perchè non mi avevate detto che stavate giocando a morra?" chiede Clara, avvicinandosi con l'aiuto di Sebastiano.
    Sebastiano fa le parti di Clara e sale o scende le scale al suo posto, mentre anche lei gioca a morra con la nonna.
    "Cos'è questo rumore?" chiede la Rottenmeier "Signorina Clara, non dovrebbe fare il riposino? Montanara, l'hai svegliata tu!"
    "Sono stata io" si intromette la nonna "Sto insegnando loro la matematica."
    "Ma le sembra il modo di insegnarglielo?" chiede l'altra, esasperata.
    "Giocando si impara."
    "D'accordo, rovini pure le bambine, ma non sarà per molto!" e la Rottenmeier se ne va.
    "Cosa intendeva dire?" chiede Clara, sospettosa e un pò spaventata.
    "Niente, è fuori di sè" la tranquillizza la nonna.

    Ma Clara è tutt'altro che tranquilla e chiede a Sebastiano: il maggiordomo è costretto a confermare.
    "Temo che vostra nonna tra un pò tornerà a casa" dice.
    Le due bambine sono tristi. Heidi gioca ai pupazzi con Clara.
    "Ma dille che questa è casa sua!" suggerisce Heidi.
    "Gliel'ho detto mille volte. E' sempre così" risponde triste Clara.

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    Heidi va dalla nonna per verificare, e vede che sta facendo le valigie.
    "Allora è vero" dice Heidi sconvolta.
    "Hai litigato con Clara?" chiede la nonna.
    "No."
    "Ti ho trovato questa stoffa per le bambole."
    Heidi piange e la nonna la abbraccia.
    "Ogni visita deve finire."
    "No, se tu non vuoi."
    "Anch'io mi sono divertita" dice la nonna"
    "Allora rimani."
    "Non si può. Non vuol dire che non ci rivedremo. Appena torno a casa vi scriverò, ci rivedremo."
    "E quando tornerai?"
    "Verrò quando saprai leggere da sola il libro che ti ho dato."

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    Da allora Heidi legge il libro con attenzione, e Clara osserva:
    "E' la storia del Principe ranocchio."
    "Eh? Pensavo fosse la bella addormentata."
    "Ma perchè lo ripeti a memoria?"
    "La nonna ha detto che se conosco tutto il libro, tornerà."
    "Ma così non lo leggerai."
    "L'importante è che torni, devo memorizzarla."

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    A cena, la nonna fa nuovamente suonare i bicchieri, ma Heidi e Clara sono tristi.
    "Non mi rendete le cose difficili, non posso fare altrimenti" osserva la nonna.
    Il giorno dopo, vanno a fare un giro in carrozza. Vedono una persona che pesca al fiume, e quella dà loro il pesce preso. Heidi e Clara giocano al parco e prendono qualcosa al bar. Vedono i soldati che passano. Poi sentono le campane a festa: è un matrimonio e seguono gli sposi.
    "Da noi in montagna il matrimonio è diverso" osserva Heidi.
    "Torniamo a casa a giocare al matrimonio" suggerisce Clara.

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    Una volta tornati, Clara ha il vestito da sposa e Heidi mette il velo sopra la testa di Clara.
    "Peccato che non possa diventare una sposa" dice Clara.
    "Perchè?"
    "Non lo vedi, Heidi? Sono in carrozzella!"
    "Prima o poi guarirai."
    "Grazie, speriamo."

    La nonna invita degli ospiti che cantano la marcia nuziale: tutti applaudono all'entrata di Clara. I musicisti iniziano le danze e la nonna danza con uno travestito da orso. Anche Sebastiano e Tinette ballano. Arriva anche il ragazzo dell'organetto. La Rottenmeier è furiosa.
    "Temo che sia arrivato il momento, Giovanni" dice la nonna, e si allontana in silenzio.

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    Heidi e Clara ballano, ma Heidi si accorge che manca la nonna e corre lungo le scale: vede la carrozza e la insegue.
    "Nonna!" grida.
    Lei risponde allontanandosi:
    "Torna a casa e dì a Clara che mi dispiace."
    "Allora torna presto, ti prego!"
    "Addio piccola, a presto."
    Heidi torna a casa Sesemann, piangendo. E vede che non c'è più nessuno: ci sono solo dei coriandoli sparsi dappertutto e Tinette che sta iniziando a pulire. La cameriera sospira:
    "E' stata una bella festa."
    "E gli ospiti?" chiede Heidi.
    "La Rottenmeier li ha mandati via. Almeno le è scoppiato sotto un mortaretto. Non dovrei dirlo, ma se lo meritava. Si è comportata davvero male."

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    Heidi va da Clara, che piange.
    "La nonna fa così ogni volta."
    Alla sera sono a cena, molto tristi. Heidi colpisce il bicchiere con un cucchiaio e le stoviglie, come faceva la nonna, e così anche Clara. Arriva la Rottenmeier e si fermano:
    "Basta con queste stupidaggini. Spero che non abbiate dimenticato l'educazione. E' stato divertente, ma ora bisogna essere educati. Adelaide, stai dritta. E non fare dei rumori."
    A Heidi cade un cucchiaio e si china per raccoglierlo, e la Rottenmeier dice stizzita:
    "Ma c'è la servitù per questo, non devi chinarti! Sebastiano!"

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    COMMENTI

    In questa storia vediamo uno dei rari cambiamenti dei vestiti di Clara, che porta sempre lo steso abito blu: stavolta ha addirittura un abito da sposa. Il comportamento della nonna non è stato onesto: fuggire via con l'inganno è stato un atto di vigliaccheria. La Rottenmeier si mostra qui come un personaggio molto cupo: il suo disprezzo per le feste raggiunge livelli addirittura patologici. Anzi, è la prima volta che viene apertamente criticata da Tinette.

    LA STORIA DEL PRINCIPE RANOCCHIO

    Heidi legge sul suo libro delle fiabe dei fratelli Grimm ("Racconti del focolare", "Kinder und Hausmärchen" nell'originale, cioè "Fiabe per bambini e famiglie") la storia del Principe Ranocchio, con tanto di immagine. Ovviamente le scritte sono in tedesco.

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    FRANCOFORTE

    Nel giro a Francoforte, si vede il fiume Meno e mangiano i tipici dolci tedeschi. I soldati tedeschi sono quelli dell'esercito del cancelliere Bismarck (siamo nell'800).

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    TINETTE

    Per la prima volta si vede Tinette che balla con Sebastiano e batte addirittura il tamburello, con sua evidente soddisfazione: infatti è la prima - e unica - volta che vediamo Tinette sorridere.

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    IL RAGAZZO DELL'ORGANETTO

    Torna anche il ragazzo dell'organetto degli episodi 22, 23 e 24.

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    LA NASCITA DEL TESCHIO ROSSO

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    Capitan America fu creato da Joe Simon e Jack Kirby il 20 dicembre 1940: è un supersoldato patriottico che combatte contro i Nazisti. Il suo fumetto ebbe una grande popolarità. Già allora affrontava il Teschio Rosso, che era solo un criminale nazista tra i tanti. Con la fine del conflitto, però, perse la sua popolarità. Negli anni '50 combattè contro i comunisti in piena Guerra Fredda, ma la pubblicazione non durò molto (successivamente, il Cap anticomunista fu introdotto nelle storie di Capitan America della Marvel degli anni '70, identificandolo come un altro Capitan America impazzito che combatte contro quello vero). Nel 1964 Stan Lee lo introdusse come comprimario dei Vendicatori. Il personaggio fu umanizzato, coi suoi problemi personali e il rimorso per aver perso il suo compagno Bucky durante la guerra. Diventò la coscienza dello spirito americano, o comunque un simbolo della libertà contro ogni dittatura. Il Teschio Rosso era allora un cattivo anonimo, come l'originale Capitan America degli anni '40: in questa storia, Lee e Kirby fanno una retcon, dandogli un passato e un'origine più drammatica di quella originale. Tra le origini dei criminali Marvel, questa è sicuramente la più memorabile.

    Siamo ai tempi della Seconda Guerra Mondiale ed è il primo incontro tra Capitan America, prigioniero dei Nazisti, e il Teschio Rosso. Per essere precisi, sarebbe il secondo: nella storia precedente, sempre di Lee e Kirby, Cap aveva affrontato un Teschio Rosso che aveva agito come spia in America. Una cosa piuttosto ridicola, anche per un fumetto Marvel. C'era anche una scena in cui il Teschio stava facendo svenire un'infermiera con del gas per addormentare: roba trash simile al Batman dei telefilm. Eppure era il Teschio che compariva nelle storie originali degli anni '40. Lee e Kirby capivano che quel Teschio non funzionava: era un personaggio troppo stupido. Il Teschio doveva essere, nelle loro intenzioni, il nemico numero uno di Capitan America. Bisognava cambiare tutto. Quindi conclusero la storia rivelando che quel Teschio si chiamava Maxon, un venditore d'armi americano venduto ai nazisti. E fanno capire chiaramente che quel Maxon non era il vero Teschio Rosso, che finora aveva sempre agito solo nella Germania nazista, dove Cap è stato catturato e fatto prigioniero. Il vero Teschio non è mai stato in America, finora. Da qui si può ricominciare da capo.

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    Ecco la prima novità: il Teschio Rosso ha una capacità combattiva che rivaleggia con quella di Capitan America. Questo in futuro non è stato mai mostrato molto, comunque: il Teschio è soprattutto uno che fa dei piani. Di solito, non è un lottatore, non fa acrobazie. Ma, in certi casi, mostra di saper lottare: ha fronteggiato a mani nude Destino e ha sconfitto Crossbones.
    Il Teschio racconta a Cap il suo passato: non per fare delle confidenze, nè per chiacchierare, ma solo perchè gli gira, che tanto dopo lo ucciderà. E' il tipo di chiacchiere che gli piacciono. E racconta di essere stato sempre uno sbandato sin da piccolo: non rivela il suo nome, e nei flashback Kirby non mostra mai il suo volto. Questa è stata l'idea geniale di Lee e Kirby: non mostrare mai nè il volto, nè il nome del Teschio Rosso. Farlo vedere, insomma, come un signor nessuno, un tizio qualunque, una nullità senza sostanza. C'è anche un'altra cosa da notare: il Teschio del flashback, prima di diventare il Teschio Rosso, non parla mai. Quindi non sappiamo neanche come si esprime. In questo modo, si toglie al Teschio ogni umanità. Se volevate vedere come si fa a fare un personaggio totalmente malvagio, ecco qua un esempio. Lee e Kirby non fanno mai mostrare alcun cenno di umanità in lui. Il Dottor Destino può avere ogni tanto un sussulto di umanità. Lui no. Destino non mostra il suo volto perchè è sfigurato; il Teschio, invece, non mostra il suo volto perchè lui è "senza volto", è il male assoluto.

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    Successivamente, nel 1984, J. M. De Matteis, in Capitan America 298, fece vedere il volto del Teschio e gli diede un nome: Johann Schmidt. Come scelta è azzeccata, perchè è l'equivalente inglese di John Smith: un nome anonimo. Ma dargli un volto, e un nome, significava umanizzarlo: qui De Matteis ha cambiato l'intenzione originale di Lee e Kirby. Ma torniamo alla storia.
    Capitan America non è impressionato dai racconti sulla povertà e persecuzioni del Teschio da giovane: come se il fatto di aver avuto un passato simile, in qualche modo, giustificasse le sue azioni. E' un modo di pensare oggi molto attuale, tipo: "Poverino, non è del tutto colpa sua, vedi come lo picchiavano" e altre frasi simili. Invece Cap gli dice per prima cosa che il Teschio non era certo stato l'unico ad aver avuto queste esperienze. Poi gli dice che anche lui ne ha passate, ma non per questo fa la vittima. Anzi, il fatto di aver avuto anche lui delle brutte esperienze in passato non gli ha certo impedito di diventare Capitan America, a differenza del Teschio. E' come se avesse detto: "Guarda che non è mica colpa degli altri se tu sei diventato il Teschio. La responsabilità di quello che sei diventato è solo tua, non della società." E la risposta del Teschio è di chi non ha più argomenti da contrapporre: una bella sberla, così forte da far cadere a terra.

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    Poi arrivò il giorno fatale: dopo un mucchio di lavori da poveracci, il futuro Teschio aveva trovato un incarico di cameriere, o fattorino, di un albergo. In quei giorni, l'albergo era stato occupato da Hitler e dal suo establishment nazista. Tutta la città era piena di soldati nazisti, passo dell'oca e saluto romano da ogni parte. L'uomo senza nome guardava tutto, impressionato dalla grandezza della forza di Hitler e avvilito dalla sua nullità. Quella sera, per ordine di Hitler, portò loro un rinfresco.

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    In quel momento, Hitler stava rimproverando il capo della Gestapo (a quei tempi era Heinrich Himmler) per un suo fallimento. Himmler cercò di scusarsi, ma Hitler insistette: anzi, scommise che quel fattorino, che era appena arrivato, sarebbe stato capace di fare meglio di lui. Anche qui il volto di Hitler è nascosto: poi lo si vedrà in faccia, ma già da queste due vignette di presentazione si nota la sua disumanità. Kirby gli aveva tolto il volto come ha fatto col Teschio: per far capire così che loro due sono simili.

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    Hitler fissò l'uomo, riconoscendo in lui un grande potenziale: ne farà il suo capolavoro. Notate come i colori dello sfondo diventino via via sempre più accesi: da un vago, freddo colore opaco, a un caldo arancione, fino al rosso: il colore del sangue e quello più acceso di tutti. Il "fattorino" abbassa gradualmente la testa, come per sottomettersi alla volontà di Hitler. Accetta di lasciarsi plasmare dal Fuhrer senza dire nulla: è un oggetto nelle sue mani. Inizia così la sua trasformazione.

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    Viene addestrato ad essere un "soldato d'assalto", cioè appartenente alle famigerate SS ("Schutz-Staffen", "schiera di protezione": si trattava della guardia personale di Hitler), famose per le loro atrocità. Ma Hitler, quando lo venne a sapere, diventò furioso: non voleva nulla del genere per lui. Era troppo poco. L'ex-fattorino doveva essere il suo capolavoro, non un banale membro delle Truppe d'assalto. Doveva diventare la personificazione del male, non un soldato qualunque. Decise quindi di occuparsene lui personalmente.

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    Subito dopo, Hitler si allontanò e, quando tornò, diede all'uomo senza nome una scatola. Si trattava di un vestito che lui aveva progettato e ordinato personalmente. "Entra nello stanzino e indossalo", ordinò Hitler. L'altro eseguì senza fiatare: ricordate che fino ad adesso, in tutto questo flashback, non ha detto una sola parola. "Vedrete un costume che incuterà la paura a tutti quelli che lo vedranno" disse Hitler.

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    Come si vede, è stato lo stesso Hitler ad aver inventato il nome del "Teschio Rosso": e lui risponderà personalmente solo a Hitler. Quindi, il Teschio divenne la seconda persona più importante della Germania nazista. Nel mondo reale, portare una maschera da teschio sarebbe ridicolo: e, infatti, tutti i "Teschio Rosso" dei vari film su Capitan America sono poco convincenti. Ma, nel mondo dei fumetti, dove un teschio può avere la stessa espressività di una testa normale, quella maschera diventa davvero "piena di vita", "reale": diventa un volto. "Per tutta la vita hai attizzato l'odio nel tuo petto, e ora hai il potere di agire con quell'odio" dice Hitler, facendo una perfetta sintesi del personaggio. Da notare che il verbo "attizzare" usato da Hitler riguarda il fuoco: infatti, significa ravvivare una fiamma. E il colore rosso del Teschio richiama appunto il fuoco: fuoco dell'odio, o dell'inferno. Il Teschio Rosso diventa così una creatura infernale. Inoltre, non porta una divisa, o un costume elaborato, come fanno tutti i supercriminali: semplicemente, ha una tuta uniforme, verdognola (il verde richiama l'invidia, il disprezzo verso ciò che è bello), e, in mezzo, ovviamente, una svastica. Bianca, così da risaltare di più sulla tuta.

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    La scena del Teschio Rosso che spara al disgraziato insegnante è stata fonte di molte discussioni. Sembra che Kirby avesse disegnato questa scena con l'intenzione di mostrare il Teschio che uccide, anche se fuori campo, l'insegnante. Ma Stan Lee aveva preferito modificare la scena, aggiungendo dei dialoghi di spiegazione. Perchè questo? I motivi non sono facili da indentificare: bisogna sapere comunque che questa storia è stata pubblicata nel 1965, quando era ancora in vigore il codice dei fumetti ("Comics Code"), istituito dalle case editrici dopo la pubblicazione della "Seduzione dell'innocente" di Wertham, che indicava i fumetti come fonte di corruzione. Le regole del Comics Code erano molto rigide: tra i vari divieti (niente alcool, niente mostri, vampiri eccetera), c'era anche quello di non ammazzare nessuno. Ecco perchè, in un fumetto di guerra, assurdamente non moriva nessuno, se non in casi eccezionali e comunque sempre fuori campo. Infatti, Kirby, per evitare censure, aveva fatto ammazzare l'insegnante fuori campo. Ma Lee sapeva che forse questo non sarebbe bastato (il Teschio uccide personalmente, e in diretta...), quindi abbiamo un Teschio che spara solo ai bottoni dell'insegnante, per spaventarlo di più. Ma non è un male che sia venuta fuori questa scena, dopotutto. Stan Lee, infatti, è riuscito, in questo modo, a fare un Teschio non "meccanicamente malvagio", che obbedisce a Hitler come un automa. Obbedisce sì, ma a modo suo, sadicamente. Questa "censura", così, ha dato la possibilità di fare un Teschio, se possibile, ancora più malvagio.

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    Il Teschio ora racconta tutte le efferatezze che ha fatto nel nome del Nazionalsocialismo (cioè "socialismo nazionale"; solo che spesso si usa oggi il termine "nazismo", mai usato dagli stessi nazisti, che si facevano chiamare appunto "nazionalsocialisti", nell'originale "nationalsozialist"). Da notare la risposta del Teschio alla povera donna che cercava di salvare suo figlio: "E' la lealtà verso di me - e quindi non verso Hitler - che conta". Di fatto, il Teschio soppianta già il Fuhrer.

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    E torniamo al presente: il racconto del Teschio è finito, e Capitan America già condanna tutte le sue azioni, dicendo semplicemente che infierire su chi non può difendersi è segno di debolezza, non certo di forza. Inoltre, anche Capitan America ha capito che lo stesso Hitler teme il Teschio Rosso. Poi la storia va avanti, ma questo non ci interessa: queste sono le origini del Teschio Rosso, non un'avventura di Capitan America.

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    In tutte le storie successive, il Teschio Rosso affronterà Capitan America soprattutto con l'intenzione di spezzargli lo spirito, renderlo disperato, senza speranza, senza mai però riuscirci. Ciò che turba il Teschio è proprio la resistenza, la tenacia, il coraggio di Capitan America: nutre una certa ammirazione, oltre all'odio, verso di lui. Più lui resiste, più lo ammira e più lo vuole spezzare. In un certo senso, lo rispetta. A questo fine aveva usato diversi mezzi: il Cubo Cosmico, i Dormienti, la banda degli Esuli, e altro. Le storie migliori del Teschio furono quelle realizzate da Lee e Kirby, che hanno saputo rendere bene la malvagità del personaggio e la sua organizzazione paramilitare.

    La storia del Teschio si conclude in una saga di De Matteis, in cui il personaggio, invecchiato, compie un ultimo incontro/scontro con Capitan America, rivelandogli che quello che gli importava, più ancora dell'affermazione del nazionalsocialismo, era la danza: il bene e il male, rappresentato da lui e Capitan America, hanno danzato in tutti questi anni "ed è stato magnifico", conclude lui, prima di morire. Non so se Lee e Kirby sarebbero stati d'accordo con questa interpretazione, che comunque è plausibile.

    Successivamente, poiché un eroe non può essere senza la sua nemesi, il biologo criminale nazista Arnim Zola ha fatto trasferire la mente del Teschio in un clone di Capitan America, e il criminale continua così la sua attività. Ma credo comunque che abbia già detto tutto quello che voleva dire. Quindi, per me, il Teschio è morto nella storia di De Matteis.

    Questa storia delle origini del Teschio Rosso fu pubblicata per la prima volta in America sulla rivista-contenitore Tales of Suspense (cioè "Racconti di suspense") n. 66 del 1965 (conteneva anche le storie di Iron Man). Fu poi pubblicata per la prima volta in Italia nel 1973 su Capitan America n. 2 della Corno.

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    EP 30: "LA CICATRICE ROSSA" - ANALISI

    IL LEONE VIOLA

    Capisco che faccia buio, ma vedere un leone viola dà un senso di straniamento, di anormalità. E infatti, tutta questa storia mostra delle anormalità: il JFO di Alcor, senza un nome (nell'episodio, almeno quello giapponese, non glielo danno), usato solo una volta, con armi mai usate e poi distrutto subito; Actarus con la sua ferita-cicatrice rossa, che all'inizio si pensava fosse dovuta alla botta. E' una storia tutta incentrata sulle radiazioni: di un certo tipo quelle del meteorite, di un altro tipo quelle che hanno provocato la ferita di Actarus. Ed entrambe provocano dei danni: il primo (non grave) al leone, l'altro (mortale) a Duke Fleed.

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    Anche qui salta fuori l'animalismo tipico dell'Oriente e dell'ecologia attuale: Actarus, infatti, dice che non bisogna preoccuparsi del leone, perchè non è morto, si è solo ferito. Ma scusate, chi se ne frega del leone? Dire questo, però, oggi è una bestemmia, perchè un animale è considerato importante quanto un uomo, se non di più.

    OPS, IL PROGETTO ERA UN PO' DIVERSO!

    Non è chiaro se Alcor è un genio o è un cretino. Il progetto mostra chiaramente la costruzione di un disco volante dalla forma rotonda, come il precedente TFO. Invece, Alcor ha fatto una specie di mini aereo formato concorde, col muso triangolare. Era ubriaco? :huh:

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    Questo velivolo dalla vita breve (comparirà e sarà distrutto in questo episodio) è chiamato ufficialmente Astrocaccia o JFO ("Japanese Flying Object", presumo). I modellini di questo apparecchio, venduti nei negozi di giocattoli in Giappone a quei tempi, sono rarissimi e introvabili: costano oggi una fortuna. Non è chiaro perchè gli autori abbiano realizzato un apparecchio come questo: di certo, come linee e sagoma ricorda un pò il futuro Goldrake 2 (o Double Spacer, nell'originale). Infatti, sembra quasi una via di mezzo tra il TFO e il Goldrake 2. Comunque, è senza dubbio il veicolo che ha fatto la fine più miseranda della serie. =_=

    GODA GODA

    Credo sia stato il primo Mostro di Vega rappresentato da due gemelli. Un altro mostro composto da due gemelli comparirà nell'episodio 44, "Un segreto dalla preistoria". E' uno dei mostri che si ricordano di più, visto che è connesso con la storia della cicatrice rossa e coi danni delle radiazioni, visto che usa proprio le radiazioni come arma. E' quello che accadrà anche nell'episodio successivo, il 32 (il 31 è solo un divertissement con la comparsa di Boss Borot per l'ultima volta nella serie: Goldrake lì è una comparsa), col mostro Vega guidato da Mariene, che userà proprio il Vegatron nel suo inganno: e quella è la prima volta che viene usato come arma.

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    ALCOR L'IMMORTALE

    Tutta l'assurda scena del tentativo di far volare questo disgraziato JFO in mezzo a un temporale richiama molto la scena di Frankenstein, col veicolo al posto del mostro e Alcor al posto del famoso dottore, ansioso di far muovere la sua "creatura". Solo che il solito fulmine - non voluto, stavolta - non colpisce solo il JFO, ma anche Alcor! E una persona presa in pieno da un fulmine dovrebbe morire all'istante, ma, quando Alcor si rialza, sembra che non si sia fatto niente. E' immortale? :huh:

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    Senza contare l'idiozia di Actarus e Venusia, che stanno sotto un albero in mezzo al temporale: una cosa da non fare assolutamente, visto che gli alberi attirano i fulmini! :huh:

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    Infatti, poco prima del fattaccio, un albero viene tagliato in due da un colpo di fulmine! Tra l'altro, questo è avvenuto anche durante il momento in cui Actarus si rivela a Venusia: infatti, questa scena, cha ha un valore simbolico, come di rottura, avviene quando sta per accadere qualcosa di grave nella storia, che cambierà tutto. Nel primo caso, è stata la rivelazione di Actarus a Venusia, nel secondo invece la scoperta della cicatrice rossa, che porterà Actarus sempre più vicino alla morte.

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    ACTARUS E VENUSIA

    In questa storia, il legame tra Actarus e Venusia sarà più rinforzato proprio a causa della cicatrice rossa. Per cominciare, Venusia partecipa al collaudo del JFO, anche se esprime le sue perplessità sul caso di far volare il veicolo con un tempo simile. E purtroppo, come accade spesso, aveva ragione. Anzi, Actarus è d'accordo con lei e cerca inutilmente di far desistere Alcor dalla sua stupida impresa: ma quando qualcuno ha un chiodo fisso, non c'è niente da fare.

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    Venusia è la prima che si accorge che Actarus si è fatto male: Alcor, in quel momento, non se n'era accorto, lo dice chiaramente. E non solo perchè Actarus era sopra di lui a difenderlo: dopo il fatto, si era preoccupato del disastro che il fulmine aveva provocato alla rampa di lancio del veicolo. Quindi Venusia è la prima ad accorgersi del danno di Actarus.

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    Non solo: è anche la prima a curarlo, mettendo un fazzoletto legato sul braccio per tamponare la ferita.

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    Ed è la prima a rendersi conto che qualcosa non va: Actarus sente male solo per il fatto che Venusia aveva stretto un pò il fazzoletto col nodo. Intuisce già che la ferita è più grave di quello che sembra. E, ancora qui, lei è la prima a capirlo.

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    Durante la cura ad Actarus, Venusia lo tiene stretto, in modo che non possa evitare l'azione del raggio di Procton, che cura sì, ma nello stesso tempo provoca dolore. Quindi Actarus tende istintivamente a spostarsi. E Venusia di conseguenza lo deve tenere fermo. E' una cosa che avrebbe dovuto fare Alcor: ma lui è partito per conto suo a "farsi perdonare" e quindi a sfracellarsi contro il Goda Goda in una mossa kamikaze. Più che a curare l'amico, Alcor è più interessato a riparare a quello che ha combinato. E' un pò la mentalità giapponese: prima il proprio onore, poi la cura. Il pensiero cristiano, invece, qui rappresentato da Venusia, è: prima la cura, poi l'onore. Cioè, prima la persona.

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    E' da notare che Actarus, quando si risveglia, rivolge il suo sguardo prima a Venusia, e solo DOPO a Procton...e anche questo è significativo riguardo al loro rapporto.

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    L'INFEZIONE DEL VEGATRON: ACTARUS MORIRA'?

    In questo episodio, abbiamo uno dei rari flashback del passato di Actarus: si vede Duke Fleed che scappa da un'enorme esplosione. Ma non si vede Actarus ferito dal raggio mandato dal minidisco, come racconta lui a Procton e Venusia: Actarus, infatti, era già stato ferito prima dal minidisco, mentre cercava di salvare Marcus. La scena del ferimento apparirà solo molto tempo dopo, nel flashback dell'episodio di Marcus (ep71, "Il Comandante Marcus"). Quindi, Duke Fleed, in questa scena in cui lui sta correndo, era già stato ferito prima, e le radiazioni Vegatron della successiva esplosione (tipo bomba atomica), provocata dai veghiani, non hanno fatto altro che aggravare il suo ferimento.

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    Anzi, in questa storia, Actarus capisce che, alla fine, sia che vinca o che perda contro Vega, morirà: non c'è cura per la sua ferita. E' stata un'idea davvero unica quella di rendere gravemente ferito il protagonista per tutta la serie, una cosa mai successa, nè prima nè dopo.

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    Quando in Italia, nella prima trasmissione degli anni '70, non trasmisero - non si sa per quale motivo - l'episodio di Marcus (forse per via dell'azione kamikaze dell'amico di Actarus, o per stare dentro al programma delle trasmissioni 1), alterarono il finale. Infatti, in quell'episodio, Actarus veniva guarito dalla ferita al Vegatron, ma questa importantissima informazione non fu trasmessa ai telespettatori italiani. Quindi rimasero perplessi, nel vedere, nell'ultima puntata, il ritorno di Actarus e Maria su Fleed e nessun cenno sulla ferita mortale. Visto che per loro Duke Fleed era ancora moribondo, questo voleva dire che, alla fine, Actarus andava a morire sul pianeta Fleed. Non è così, ma gli italiani che avevano seguito la prima trasmissione furono costretti a pensarlo. Con alcune eccezioni: gli italiani che videro al cinema "Goldrake addio" seguirono quasi tutta la storia di Marcus, con la guarigione di Actarus, tirando magari un sospiro di sollievo, nonostante il titolo iettatorio. Inoltre, anche gli italiani che hanno letto il libro "SUPERGOLDRAKE" delle edizioni Walkover del 1980, hanno potuto conoscere anche lì l'episodio di Marcus.

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    Inoltre, nelle repliche di Goldrake del periodo 1982-83, l'episodio di Marcus fu trasmesso col doppiaggio classico.

    RIGEL L'ARCIERE

    Rispettando le tradizioni dei suoi antenati guerrieri giapponesi (nell'episodio del Bell Bell si era messo una tenuta da samurai), qui Rigel si veste da arciere del periodo medievale giapponese, con tanto di gonna metallica, faretra, arco, frecce e spada corta. E anche la cintura bianca ai fianchi col fiocco davanti.

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    1 A quei tempi, per le ultime puntate di Goldrake del 1979-1980, si era nel periodo natalizio, quello dei primi di Gennaio, e dopo sarebbe cominciata la scuola. Quindi, la serie di Goldrake DOVEVA concludersi il 6 Gennaio 1980, il giorno dell'Epifania, e quindi l'ultimo giorno di vacanza prima della scuola. La mia ipotesi è che nella serie di Goldrake c'era una puntata che avanzava e che bisognava tagliare. Quale? Quella di Marcus o quella di Rubina? Visto che la storia di Rubina era importante, anche perchè ne accennavano le puntate successive, decisero di sacrificare quella di Marcus, che per loro era meno importante. E' solo un'ipotesi, però...
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    EP 30: "LA CICATRICE ROSSA" (VERSIONE COI DIALOGHI COMPLETI)
    "La cicatrice rossa" (titolo seconda versione italiana)
    "La ballata della cicatrice rossa" (titolo originale giapponese)

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    TRAMA

    E' notte: un piccolo meteorite cade allo zoo, liberando il leone e continuando a brillare di una luce bianca. Due guardie sentono il ruggito del leone.
    Guardia 1: E' il leone!
    Guardia 2: Chissà che gli è preso?
    Guardia 1: Andiamo subito a vedere!
    Vedono che il leone è libero.
    Guardia 1: E' uscito dalla gabbia!
    Guardia 2: Se non lo facciamo tornare dentro al più presto siamo spacciati!
    Guardia 1: Restiamo immobili!
    Guardia 2: Va bene.
    Il leone si avvicina, incuriosito, al meteorite e lo morde: cade a terra fulminato.
    Guardia 1: Hai visto? Ma che cos'è?

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    Inizia il titolo: "LA BALLATA DELLA CICATRICE ROSSA"

    Al Centro Ricerche, Procton esamina il meteorite, insieme ad Alcor e Actarus.
    Alcor: Incredibile! Quella pietra sembra carica di energia elettrica! Ha messo fuori combattimento persino il leone che l'ha morsa!
    Actarus: Per fortuna è sopravvissuto. La scossa l'ha solo stordito, ma poi si è ripreso.
    Alcor: Gli è andata bene. Professore, secondo lei di cosa è fatto quel meteorite?
    Procton: E' un materiale che emette elettricità.
    Actarus: Ho un sospetto. Forse quel meteorite non è di origine naturale.
    Alcor: Una roccia artificiale? Allora può essere un'altra arma di Vega!
    Procton: No, sono quasi certo che sia di origine naturale.
    Actarus: Significa che nello spazio esistono altri meteoriti come questo in grado di emettere elettricità.
    Procton: Probabilmente questo è solo un frammento. Da qualche parte nel cosmo ne esiste senz'altro un ammasso più grande.
    Alcor: Se riuscissimo ad impadronircene sarebbe un'eccellente fonte di energia.
    Procton: Le risorse del cosmo sono illimitate, anche se molte di esse sono ignote.
    Alcor: Allora è meglio non perdere tempo!
    Actarus: Aspetta! Si può sapere perchè hai tanta fretta?
    Alcor: Cosa dovrei fare, starmene qui con le mani in mano? Se non finisco il mio nuovo disco volante non potrò contribuire allo sfruttamento del cosmo!
    Procton: E' senz'altro una straordinaria fonte di energia, ma se finisse nelle mani del nemico, potrebbe diventare un'arma micidiale.

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    Alla base Skarmoon, Zuril sta facendo gli ultimi preparativi per il nuovo mostro di Vega. Arriva Gandal.
    Gandal: Allora, a che punto siete?
    Zuril: Tutto procede secondo i nostri piani.
    Gandal: Costruire un mostro usando le rocce del pianeta Goda è un'idea geniale!
    Zuril: La superficie di quel pianeta è ricoperta di rocce come questa, un minerale rivelatosi davvero prezioso!
    Zuril computer: Preparativi ultimati. Installare scintillatore sul mostro Goda Goda. Accelerare le operazioni.
    Gandal: Con un'arma così potente potremo sconfiggere persino Goldrake!

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    Alcor ha appena completato il nuovo apparecchio volante.
    Alcor: E' pronto, ce l'ho fatta! Ha una forma un pò diversa da quella a cui pensavo quando l'ho progettato. Non importa. Quello che conta è che il prototipo del nuovo disco è pronto. Voglio che Actarus e Venusia assistano al volo di prova.

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    Alla base Skarmoon, il mostro parte.
    Zuril: Fate entrare in azione il mostro spaziale!
    Gandal: Sono curioso di vedere una dimostrazione della sua potenza.
    Zuril: Mostro Goda Goda, assumere posizione d'attacco!
    Gandal: Attivare lo scintillatore!
    Il Goda Goda si divide e, con l'energia elettrica che le due parti emanano, distrugge un enorme meteorite.

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    Siamo in un bosco, dove Alcor si prepara a partire col nuovo disco volante. Insieme a lui ci sono Actarus e Venusia. Sta piovendo forte e ci sono anche dei lampi.
    Alcor: Accidenti, un temporale così, proprio oggi che devo collaudare il disco!
    Actarus: Credo che sia meglio lasciar perdere.
    Alcor: Scherzi? Non voglio nemmeno pensarci! Il disco deve essere messo a punto il più presto possibile!
    Venusia: Ma cosa vorresti fare? Non vedi come piove?
    Alcor: Figuriamoci se mi ferma la pioggia!
    Actarus: Aspetta! Il disco volante deve essere pronto al più presto, ma cosa avresti concluso, se ora rovinassi tutto con la fretta?
    Alcor: Non preoccuparti e lascia fare a me.
    Actarus: Fermati, Alcor! E' troppo rischioso, aspetta!
    Alcor: No! Non preoccuparti, saprò cavarmela.
    Alcor sale sull'apparecchio usando la scala, ma, in quel momento, un fulmine colpisce il disco volante e Alcor cade a terra stordito. L'impalcatura dove è stato fissato il nuovo disco si sfalda e Actarus copre col suo corpo il suo amico per proteggerlo: ma uno dei tubi di metallo cade sul suo braccio.
    Venusia: Actarus!
    Alcor: Accidenti! per colpa di quel fulmine non potrò fare il mio volo di prova!
    Venusia: Come stai, ti sei fatto male?
    Alcor: Actarus è stato ferito? E come?
    Venusia: Non te ne sei accorto? Gli è caduto addosso un palo di ferro mentre ti faceva scudo col suo corpo!
    Alcor: Io non ho visto nulla.
    Actarus: Non è niente di grave, mi ha colpito solo al braccio.
    Venusia: Comunque, ora sarà meglio fasciarlo. Ecco. (Venusia gli lega un fazzoletto al braccio: Actarus fa una smorfia di dolore) Scusami, ti fa tanto male?
    Actarus: Non preoccuparti, non è nulla. Guarda, sto già molto meglio.
    Alcor: Scusami, è stata colpa mia.

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    Hayashi vede un punto sul video del radar.
    Hayashi: Professore, un oggetto volante sta arrivando alla Terra.
    Procton: Cerca di inquadrarlo col radiotelescopio. (lo vede sullo schermo) Ma è un mostro spaziale!
    Arrivano Actarus, Alcor e Venusia.
    Actarus: Che succede?
    Procton: Un mostro fa rotta verso la Terra. Devi intervenire subito.
    Actarus: Sì, vado.
    Actarus fa per allontanarsi, ma ad un certo punto barcolla e cade a terra.
    Alcor: Ma che ti prende?
    Venusia: Actarus!
    Procton lo solleva da terra.
    Procton: Actarus, che cos'hai? Su, coraggio!
    Actarus: Il braccio mi fa male...

    VTS-07-1-17343 VTS-07-1-17524


    Procton: Gli antidolorifici non fanno effetto. Questa non è una semplice contusione.
    Alcor: Allora, secondo lei, di cosa si tratta?
    Procton: Ho solo dei sospetti. Devo fare delle analisi, prima di pronunciarmi.
    Alcor: Avanti, tieni duro!
    Venusia: Vedrai che presto passerà.

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    Il Goda Goda compare davanti alla città d Tokyo. Zuril comanda via radio:
    Zuril: Avanti, mostro spaziale, distruggi tutto quello che ti capita a tiro! Così Duke Fleed si farà vivo e allora lo sconfiggerai! Sarà la fine di Goldrake!
    Il Goda Goda inizia la sua distruzione.

    VTS-07-1-19024


    Procton esamina la ferita.
    Procton: Proprio ciò che temevo.
    Alcor: Cosa significa?
    Procton: E' una lesione causata dalla radioattività.
    Alcor: Impossibile! E' stato colpito da un palo di ferro, cosa c'entra la radioattività? Professore, non capisco.
    Procton: Probabilmente il fulmine ha fatto aggravare una ferita precedente.
    Alcor: Professore, deve fare qualcosa!
    Venusia: Oh, Actarus!

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    Alcor corre via e sbatte i pugni contro il muro.
    Alcor: Sono io il responsabile! E' colpa mia, se è ridotto in quelle condizioni!
    Arriva Hayashi di corsa.
    Hayashi: Alcor, Actarus si è ripreso? E' un'emergenza, non è in grado di combattere? Il mostro spaziale sta attaccando la città e se non interveniamo, distruggerà tutto!
    Alcor non risponde e corre verso il suo disco volante.

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    Banta si dirige verso il ranch di Rigel, correndo allarmato.
    Banta: Rigel, dove sei? Dobbiamo fare qualcosa subito! Tutto il paese è in gravissimo pericolo! Presto!
    Compare Rigel su un cavallo e con un arco in mano..
    Rigel: Banta, cos'hai da sbraitare così tanto? So anch'io che siamo attaccati dagli ufo, cosa credi?
    Banta: Cosa intendi fare?
    Rigel: Non preoccuparti, pensa alla fattoria. (corre via a cavallo) Fate largo, arriva Rigel Makiba!

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    Alcor parte col nuovo disco volante.
    Alcor: Il volo di collaudo del prototipo si trasformerà in battaglia decisiva contro il mostro spaziale. Forza! Actarus, mi farò perdonare, vedrai!

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    Al centro medico dell'Istituto di Ricerche, Procton e Venusia sono attorno ad Actarus, disteso sul letto.
    Venusia: Che cos'ha?
    Procton: Non è nulla, ha solo perso conoscenza.
    Procton tira fuori un apparecchio.
    Venusia: Con questo guarirà?
    Procton: Ci vorrà un pò perchè si riprenda. Ma almeno questo gli allevierà il dolore. Tienigli fermo il braccio, per piacere.
    Venusia: Certo. Ti prego, devi farcela!

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    Rigel arriva a cavallo vicino alla città e vede il Goda Goda.
    Rigel: Oh-ho, forza, forza! Eccolo là! (vede il mostro spaziale) Dannatissimo ufo, ora ti faccio vedere io! Grande Budda, dammi la forza! (lancia una freccia, che però gli ricade addosso. Il Goda Goda si allontana senza neanche vederlo) Scappi, eh? Brutto vigliacco, dove vai? Combatti lealmente!
    Rigel lo insegue.

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    Alcor, a bordo del nuovo disco volante, trova il Goda Goda, che attacca un'altra città.
    Alcor: Eccolo! Se solo avessi avuto il tempo di montare delle armi!

    Il trattamento di Procton è finito. Actarus si riprende.
    Venusia: Actarus!
    Procton: E' cosciente. La ferita come va, ti fa ancora male?
    Actarus: No, padre, adesso sto bene. (sta per correre da Goldrake)
    Procton: Aspetta, quella ferita non è una semplice contusione.
    Actarus: Eh?
    Procton: E' stata causata dalla radioattività. Non è una lesione recente. A quanto risale? Non te lo ricordi?
    Actarus: E' stata causata dalle radiazioni vegatron.
    Venusia: Le radiazioni vegatron?
    Actarus: Quando le truppe di Vega attaccarono Fleed, fui colpito da un raggio partito da un minidisco. Adesso devo andare.
    Procton: Actarus!
    Venusia: No, fermati!

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    Goldrake esce lungo l'Uscita 7.
    Duke Fleed: (si ricorda del suo passato su Fleed e della ferita che aveva ricevuto) Sapevo che prima o poi questa ferita si sarebbe riaperta. Ma ho ancora tempo.

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    Alcor vede il Goda Goda.
    Alcor: Senza armi posso fare ben poco. Vorrà dire che lo distruggerò gettandomi contro di lui.
    Duke Fleed vede Alcor che vola contro il Goda Goda: ma il mostro lo respinge e il suo disco volante finisce in acqua.
    Duke Fleed: Alcor! Ti fermerò!

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    Arriva Rigel a cavallo e vede Alcor sul disco abbattuto, in mezzo al fiume.
    Rigel: Che diavolo è successo? Ma quello è Alcor, senza dubbio! Alcor, ti aiuterò io, non preoccuparti! Sveglia!
    Alcor: (si riprende) Rigel!
    Rigel: Vengo subito a salvarti! Forza, forza, salta in sella!
    Alcor sale a cavallo con Rigel e l'astronave viene trascinata via dalla corrente.

    Goldrake viene attaccato dalle scariche elettriche delle due metà del Goda Goda.
    Duke Fleed: Devono essersi impadroniti del materiale a emissioni elettriche. Uno a carica positiva e l'altro negativa. Devo resistere!
    Il robot riesce ad evitare le scariche ed abbatte il mostro con l'alabarda spaziale, una metà dopo l'altra.

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    Actarus è con Procton nella sala medica.
    Procton: Radiazioni vegatron. Posso alleviarti temporaneamente il dolore, ma non c'è alcuna cura che possa guarirti del tutto.
    Actarus: Quando la lesione si sarà estesa fino al petto io morirò, vero?
    Procton: Actarus!
    Actarus: Ma ho ancora un pò di tempo prima che accada. Finché vivrò, cercherò di portare a termine la missione affidatami.
    Actarus si allontana e Procton piange di nascosto. Actarus guida la moto nel tramonto, fino a raggiungere un posto solitario: scende e osserva in silenzio le stelle.

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    NOTE

    Lo sceneggiatore (scriptwriter) è colui che, partendo da un soggetto, scrive la trama e i dialoghi dell'episodio. Il regista (episode director) è colui che segue lo sceneggiatore e fornisce tutte le indicazioni dettagliate, tipo: come si devono svolgere le scene, come devono essere impostate, per quanti decimi di secondo ogni inquadratura deve essere mantenuta sullo schermo, quanto tempo deve durare una scena, eccetera. Forniscono così l'impalcatura base per i disegnatori. Il character designer è il supervisore generale dei disegni. Mantiene l'omogeneità dei disegni realizzati su tutti gli episodi della serie. Il sakkan (direttore artistico/artistic director) è il supervisore generale dei disegni del singolo episodio. Il bujutsu (autore degli sfondi/designer/art director) è colui che si occupa degli sfondi delle scene.

    Titolo giapponese: La ballata della ferita rossa
    Titolo italiano (prima versione): La cicatrice rossa
    Titolo italiano (seconda versione): La cicatrice rossa
    Sceneggiatore (Scriptwriter) Tatsuo Tamura
    Regista (Episode Director): Yoshikatsu Kasai o Takenori Kawata (l'attribuzione è dubbia)
    Character Designer: Kazuo Komatsubara
    Sakkan (Artistic Director) Toshio Mori
    Bijutsu, Autore degli sfondi (Designer) Iwamitsu Ito
    Prima data di trasmissione in Giappone: 25 Aprile 1976
    Prima data di trasmissione in Italia: 18 Dicembre 1978
  7. .
    PARADISO CANTO 20 - SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI - GUGLIELMO, RIFEO: LA SALVEZZA DEI PAGANI (seconda parte)

    GLI SPIRITI GIUSTI: RE GUGLIELMO IL BUONO

    Guglielmo-il-buono
    Re Guglielmo Il Buono dedica il Duomo di Monreale a Maria.


    Dante continua ad osservare i beati nell'occhio dell'aquila: dopo Davide, Traiano, Ezechia e Costantino, il beato nella "parte discendente dell'arco" (cioè l'orbita dell'occhio dell'aquila) è Guglielmo il Buono o Guglielmo II di Sicilia (1153-1189), figlio di re Guglielmo I il Malo (depravato e simpatizzante degli arabi). Guglielmo il Buono fu rimpianto da Napoli e dalla Sicilia, attualmente malgovernate. Guglielmo ora comprende quanto sia apprezzato da Dio un buon sovrano.

    E quel che vedi ne l’arco declivo, (E colui che vedi nell'arco discendente)
    Guiglielmo fu, cui quella terra plora (fu re Guglielmo il Buono, che è rimpianto da quelle terre (Napoli e la Sicilia)
    che piagne Carlo e Federigo vivo: (che ora sono governate dai vivi (e ingiusti) Carlo II d'Angiò e Federico II d'Aragona:)

    ora conosce come s’innamora (ora (Guglielmo) sa che il Cielo apprezza)
    lo ciel del giusto rege, e al sembiante (un re giusto, e lo dimostra)
    del suo fulgore il fa vedere ancora. (tuttora con lo splendore del suo aspetto.)

    Infatti, Guglielmo, nel secolo 1100, comandava non solo la Sicilia, ma anche tutta l'Italia Meridionale, Napoli compresa, e il suo regno era chiamato "Regno di Sicilia", perchè aveva come capitale Palermo. Guglielmo faceva parte della casata normanna degli Altavilla. Il suo governo fu giusto e la Sicilia conobbe un periodo di pace e sviluppo. Guglielmo sposò l'inglese Giovanna Plantageneto, sorella di re Riccardo Cuor di Leone: ma non ebbero figli. Per questo, si concluse la dinastia degli Altavilla. Ci fu solo la zia di Guglielmo, Costanza d'Altavilla, citata da Dante nel Primo Cielo della Luna, che diede alla luce un figlio, ma appartenente alla casata degli Svevi, visto che lei sposò Enrico VI di Svevia: Federico II di Svevia (mandato da Dante all'Inferno tra gli eretici insieme a Farinata Degli Uberti).

    Guglielmo fece costruire il Duomo di Monreale, dedicato alla Vergine Maria: secondo la leggenda, Guglielmo si addormentò sotto un carrubo, colto da stanchezza, mentre era a caccia nei boschi di Monreale. In sogno gli apparve la Madonna, a cui lui era molto devoto, che gli disse: “Nel luogo dove stai dormendo, è nascosto il più grande tesoro del mondo: dissotterralo e costruisci un tempio in mio onore”. Dette queste parole, la Vergine scomparve e Guglielmo, fiducioso della rivelazione in sogno, ordinò che si sradicasse il carrubo e gli si scavasse intorno. Con grande stupore, fu scoperto un tesoro in monete d'oro, che furono subito destinate alla costruzione del Duomo di Monreale, che poi divenne cattedrale.

    Laggiù, nel 1270, dopo l'ottava crociata, fu sepolto san Luigi IX, re di Francia. Il figlio Filippo III fece trasferire i resti del padre nella basilica di Saint-Denis: nel Duomo di Monreale rimane un reliquiario che contiene il cuore e le viscere di San Luigi IX. Inoltre, per sdebitare il favore ricevuto, re Filippo III donò alla cattedrale un reliquiario contenente la Sacra Spina, appartenente alla Corona di Spine di Gesù. L'intera Corona di Spine è custodita a Parigi, a Notre-Dame, e fu portata lì dallo stesso Luigi IX. La reliquia è rimasta integra anche dopo l'impressionante incendio avvenuto il 15 aprile 2019, che rovinò gravemente la cattedrale.

    Corona-di-spine
    La Corona di Spine a Notre-Dame (protetta da una teca circolare fatta costruire apposta) e l'albero del giuggiolo della spina di Cristo, comune in Israele, da dove fu fatta la corona di spine.


    GLI ALTAVILLA: LA BREVE DINASTIA NORMANNA

    I Normanni erano gli Uomini del Nord, che si possono identificare coi vichinghi: erano soprattutto scandinavi e scesero in Europa. Il fondatore della famiglia normanna degli Altavilla fu Tancredi (980-1041), che ebbe come figli Roberto il Guiscardo (citato da Dante nel Cielo di Marte), Ruggero I e Guglielmo braccio di ferro: furono soprattutto questi tre figli (Tancredi ne ebbe degli altri) che, insieme ai loro eserciti normanni, combatterono contro i musulmani e gli ortodossi bizantini che comandavano il sud Italia, fondando così il Regno di Sicilia e scacciando via sia i musulmani che gli ortodossi, impressionati dalla loro grande forza e valore. Infatti i Normanni erano talmente combattivi e feroci che il Guiscardo fu chiamato "terrore del mondo".

    Regno-di-Sicilia
    Il Regno di Sicilia, dopo il dominio arabo. All'inizio governarono i normanni Altavilla, poi i tedeschi Svevi, poi i francesi Angioini, poi gli spagnoli Aragonesi. Successivamente, passò agli spagnoli e italiani Borbone di Napoli, e per un certo tempo fu chiamato Regno delle due Sicilie. Fu poi annesso all'Italia nel 1861 dopo la Spedizione dei Mille di Garibaldi.


    La casata degli Altavilla comunque si estinse presto, con la morte della regina di Sicilia Costanza d'Altavilla nel 1198 (ripeto, incontrata da Dante nel Cielo della Luna degli Spiriti che mancarono ai voti). Infatti, lei sposò un re della casata degli Svevi, un ramo tedesco, e il figlio, Federico II di Svevia (che Dante mise all'Inferno tra gli Eretici, scusate la ripetizione), diede inizio alla dinastia degli Svevi. Quindi la casata degli Altavilla durò circa due secoli.

    GLI SPIRITI GIUSTI: RIFEO

    Rifeo
    Rifeo, il compagno di Enea.


    L'aquila conclude la presentazione dei beati nel suo occhio con un gran colpo di scena: fa vedere l'ultimo beato, che non è stato cristiano, ma pagano: Rifeo, il troiano, che ora sa molto più di quello che gli uomini sanno della grazia divina.

    Rifeo è un personaggio minore dell'Eneide: era uno dei compagni di Enea, che era stato con lui la notte della caduta di Troia e morì eroicamente nella difesa della città (quindi non seguì Enea nel suo viaggio). Enea, nel suo racconto alla regina Didone, fa l'unico cenno a Rifeo presente in tutta l'Eneide: "cadde anche Rifeo, che fu tra i Troiani il più giusto e il più osservante del diritto: ma gli dei pensarono diversamente."

    Dante afferma che Rifeo credette nel Cristo venturo, grazie alla sua giustizia e quindi ottenne la salvezza. È probabile che Dante fosse colpito dall'appellativo "il più giusto" ("iustissimus unus") e "osservante del diritto" ("servantissimus aequi") con cui è designato da Virgilio, mentre l'espressione "gli dei pensarono diversamente" ("dis aliter visum") poteva indurre il poeta a credere che il Dio cristiano serbasse per lui un destino ultraterreno in contrasto con la sua precedente vita pagana.

    Chi crederebbe giù nel mondo errante, (Chi, nel mondo errante, potrebbe credere)
    che Rifeo Troiano in questo tondo (che il troiano Rifeo in questo cerchio)
    fosse la quinta de le luci sante? (fosse la quinta delle luci sante?)

    Ora conosce assai di quel che ‘l mondo (Ora sa molto più di quello che gli uomini)
    veder non può de la divina grazia, (conoscono della grazia divina,)
    ben che sua vista non discerna il fondo». (anche se il suo sguardo non può arrivarvi in profondità».)

    Eneide
    Giulio Brogi (Enea) con Olga Karlatos (Didone) dall'Eneide televisiva di Franco Rossi, trasmessa in sette puntate dalla RAI a partire dal 19 dicembre 1971.



    DANTE E' STUPITO DELLA PRESENZA DI PAGANI IN PARADISO

    L'aquila, quando ha finito la sua presentazione, sembra simile all'allodola, che prima vola cantando nell'aria, poi tace, compiacendosi del suo canto, nell'eterna gioia di Dio. Dante, però, è assalito da un dubbio: i pagani Traiano e addirittura Rifeo in Paradiso? E non trattiene un'esclamazione di stupore: "Che cose son queste?". Gli spiriti beati manifestano la gioia di poter rispondere a Dante, aumentando il loro splendore. L'occhio dell'aquila sfavilla: per risolvere il dubbio di Dante, l'aquila dice per prima cosa che Dante crede a ciò che ha udito (la salvezza dei pagani) nel Canto 19, ma non la capisce fino in fondo, come chi conosce una cosa solo per il suo nome, ma senza capirne il senso. Quasi come chi ripete a pappagallo, senza rifletterci sopra.

    «Io veggio che tu credi queste cose («Io vedo che tu credi queste cose)
    perch’io le dico, ma non vedi come; (perché te le dico, ma non ne capisci la ragione;)
    sì che, se son credute, sono ascose. (in tal modo, anche se credute, sono oscure.)

    Fai come quei che la cosa per nome (Tu fai come chi comprende la cosa, dal nome che la indica)
    apprende ben, ma la sua quiditate (ma non ne comprende la sostanza)
    veder non può se altri non la prome. (se qualcun altro non gliela spiega.)

    L'aquila inizia la spiegazione dicendo che "il Regno dei Cieli subisce violenza": cioè, la bontà e la speranza - e ovviamente il comportarsi bene, che viene di conseguenza - fanno sempre breccia nell'Amore divino. Certo, è Dio che rende buoni: ma è l'uomo che diventa buono, accettando l'azione di Dio su di lui. La bontà nasce quindi da una "collaborazione" tra Dio e l'uomo. Anche nel caso dei non credenti, questo avviene per vie misteriose che sa solo Dio. Il Regno dei Cieli, quindi, sopporta violenza dall'ardore di carità e dalla speranza, che può vincere la volontà divina: non come un uomo che ne sopraffà un altro (questa è la violenza umana), ma semplicemente perché essa - la volontà divina - vuole esser vinta e, una volta vinta, vince a sua volta con la bontà.

    Regnum celorum vïolenza pate (Il Regno dei Cieli sopporta la violenza)
    da caldo amore e da viva speranza, (che viene da caldo amore di carità e da viva speranza,)
    che vince la divina volontate: (che vince la volontà divina:)

    non a guisa che l’omo a l’om sobranza, (non come un uomo che ne sopraffà un altro,)
    ma vince lei perché vuole esser vinta, (ma la vince perché essa vuol essere vinta,)
    e, vinta, vince con sua beninanza. (e, una volta vinta, vince con la sua bontà.)

    L'aquila continua, dicendo a Dante: "Tu ti meravigli del fatto che la prima e quinta anima del ciglio del mio occhio (Traiano e Rifeo) siano qui in Paradiso: in realtà essi, dopo la morte, non uscirono dai loro corpi come pagani ("gentili"), bensì come Cristiani: Rifeo, che ha creduto nel Cristo venturo, e Traiano, che ha creduto nel Cristo venuto." Nel caso di Traiano, la sua anima fu evocata dal Limbo, anzi, dice Dante, addirittura dall'Inferno, dalle preghiere di San Gregorio Magno:

    Ché l’una de lo ‘nferno, u’ non si riede (Infatti il primo (Traiano), dall'Inferno, da dove non si torna)
    già mai a buon voler, tornò a l’ossa; (mai a una volontà buona, resuscitò)
    e ciò di viva spene fu mercede: (e ciò fu il premio di una viva speranza:)

    di viva spene, che mise la possa (di una viva speranza, che nelle preghiere)
    ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla, (rivolte a Dio mise la forza per farlo resuscitare,)
    sì che potesse sua voglia esser mossa. (così che la volontà di lui fosse convertita a miglior desiderio (quello di credere in Cristo.)

    L’anima gloriosa onde si parla, (L'anima gloriosa di cui parlo,)
    tornata ne la carne, in che fu poco, (tornata nella carne (una volta risorta), in cui rimase poco,)
    credette in lui che potea aiutarla; (credette in Colui (Cristo) che poteva aiutarla; )

    e credendo s’accese in tanto foco (e, credendo, si accese in un tale ardore)
    di vero amor, ch’a la morte seconda (di autentica carità, che dopo esser morto per la seconda volta)
    fu degna di venire a questo gioco. (fu degno di salire a questa beatitudine.)

    Dante dice che all'Inferno "non si riede già mai a buon voler", cioè, laggiù la malvagità è ormai fissa, è impossibile diventare buoni. E nemmeno le preghiere di San Gregorio Magno possono far tornare indietro un'anima dall'Inferno, come sembra far capire invece Dante, che qui segue la leggenda di Gregorio Magno, che, con la sua preghiera, fece risuscitare Traiano dall'Inferno (o dal Limbo), lo battezzò e così, salvo, poté andare in Paradiso.

    A parte la leggenda, Dante qui fa capire quanto sia importante la preghiera per la salvezza degli altri, non solo per la propria, ma anche per quelli che sono sulla Terra e per quelli che sono in Purgatorio. Nell'Inferno, invece, ogni preghiera è inutile: le anime dannate vogliono restare per sempre lì, non sopporterebbero mai di essere vicine a Dio, che ormai odiano. Maledicono il fatto di essere finite lì, ma non vorrebbero mai andare in Paradiso: sono bloccati nella loro malvagità. Quindi, se Traiano fosse finito davvero nell'Inferno ci sarebbe rimasto, non importa quanto San Gregorio Magno avesse pregato per lui. Per riparare alla "licenza poetica" di Dante, i commentatori sostengono che Traiano era finito nel Limbo, una cosa che Dante, però, non dice.

    Passando poi a Rifeo, l'aquila dice che, attraverso il dono della grazia divina, che Rifeo seguì (la grazia divina c'è su tutti, pagani e non: sta poi all'uomo seguirla o meno), lui fu sommamente giusto in vita e ricevette da Dio la conoscenza della futura Redenzione: egli vi credette e da quel giorno rinnegò il paganesimo, venendo battezzato per infusione diretta delle virtù teologali (Fede, Speranza e Carità), mille anni prima che il battesimo fosse istituito.

    Anche questa è un'invenzione letteraria di Dante, che però in questo modo vuole mostrare come Dio, che è Padre di tutti, vuole la salvezza di tutti, attraverso delle vie che sa solo Lui.

    L'aquila conclude parlando del mistero delle predestinazione, che non significa che alcuni sono predestinati al Paradiso e altri all'Inferno: questa è la visione protestante. Per "predestinazione" qui si intende il fatto che ogni uomo è predestinato ad andare in Paradiso: ma questo avviene in un misterioso incontro tra Dio e l'uomo. Dio sa già chi si salva e chi no, ma, nel saperlo, non pregiudica la libertà di nessuno: ciascuno è libero di scegliere se accettare o meno la salvezza che Dio gli offre. E' il mistero della libertà umana e dell'intervento divino: qui nessuno può entrare, perchè è un mistero al di là della nostra comprensione. Ci basti sapere che Dio è un Padre buono che ci vuole tutti salvi. Altro non serve sapere.

    O predestinazion, quanto remota (O predestinazione, quanto è distante)
    è la radice tua da quelli aspetti (la tua origine da quegli sguardi (dei mortali)
    che la prima cagion non veggion tota! (che non possono certo vedere Dio nella sua interezza!)

    E voi, mortali, tenetevi stretti (E voi, uomini, siate prudenti)
    a giudicar; ché noi, che Dio vedemo, (nel giudicare; infatti noi, che vediamo Dio,)
    non conosciamo ancor tutti li eletti; (non conosciamo ancora il numero esatto degli eletti; )

    Infatti, nemmeno chi è in Paradiso può comprendere tutto di Dio. E' un cammino infinito.

    ed ènne dolce così fatto scemo, (e questa nostra mancata conoscenza ("fatto scemo", cioè carente, mancante) è tanto dolce, per noi,)
    perché il ben nostro in questo ben s’affina, (in quanto la nostra gioia si affina in Paradiso sempre di più)
    che quel che vole Iddio, e noi volemo». (e vogliamo solo quanto è voluto da Dio».)

    Infatti hanno totale fiducia in Dio che è Padre, e Giusto, e Buono, anzi l'unico buono ("Solo Dio è buono", dice Gesù), tanto che quanto lui vuole - ed è il Bene - anche loro lo vogliono.

    L'aquila conclude il suo discorso, che è stato per Dante una "soave medicina". La chiama "medicina", infatti, perchè ha curato i dubbi e i pensieri errati di Dante sul giudizio divino. E, come il bravo citarista accompagna il canto col suono delle corde, rendendolo più piacevole, allo stesso modo, mentre l'aquila parlava, Dante ha visto le due luci che corrispondevano alle anime di Rifeo e Traiano lampeggiare all'unisono il proprio splendore, come due occhi che sbattono simultaneamente. E' come se confermassero le parole di salvezza dell'aquila per tutti gli uomini di buona volontà. E non "per tutti gli uomini che Dio ama": ma per tutti gli uomini di buona volontà, cioè quelli che si impegnano seriamente a raggiungere la salvezza e a comportarsi bene. Il Paradiso è dei violenti. Non dei pigri.

    COMMENTO

    Il Canto completa il dittico iniziato col precedente Canto, dedicato al problema della salvezza dei pagani prima e dopo Cristo, attraverso l'esempio di Rifeo (un pagano prima di Cristo) e Traiano (un pagano dopo Cristo). Il giudizio divino è sì giusto, ma imperscrutabile: nessuno può comprenderlo fino in fondo.

    I sei beati che formano l'occhio, essendo quasi tutti re, fanno pensare che i beati del Cielo di Giove, gli Spiriti Giusti, siano soprattutto dei re o principi che hanno ben governato. Ciò si accorda col senso della scritta formata dall'aquila nel Canto 18°, che esortava le persone potenti, che giudicano sulla Terra, ad amare la giustizia. Inoltre, c'è stata anche la rassegna dei principi cristiani corrotti del 19° Canto, di cui i beati del 20° Canto fanno da contraltare. Cinque dei sei beati che l'aquila nomina sono stati buoni sovrani sulla Terra, a cominciare da Davide.

    DIVINA COMMEDIA DI NAGAI

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    Il Cielo di Giove nel manga è mostrato in quattro pagine, due delle quali mostrano il pianeta di Giove con un occhio gigantesco, al posto dell'aquila; inoltre, non c'è la presentazione di Davide e degli altri santi. Non c'è nemmeno il problema della salvezza per i non credenti, un tema troppo ostico da presentare in un manga. Beatrice presenta così il Cielo di Giove a Dante:

    Beatrice: Il sesto cielo è quello di Giove. Qui dimorano gli spiriti che sulla Terra esercitarono la giustizia.

    Dante incrocia le braccia sul petto, chiude gli occhi e piange di commozione, investito dalla luce. E, nel farlo, pensa:

    Dante: Che luce...così numerose sono dunque le anime dei beati? Il cielo sembra ardere, tanto è il calore del loro amore....aah....sento crescere in me una nuova energia...chissà se anch'io prima o poi diventerò una luce splendente come loro!

    La frase e la situazione è stata completamente inventata da Nagai. Inoltre, il pensiero di Dante che "diventerà luce splendente" non considera la resurrezione dei corpi. Nel Paradiso di Nagai, tutti sembrano delle espressioni luminose e non sono considerati come risorti col corpo. Dante, infatti, sente "crescere in sè una nuova energia", quasi come se lui dovesse diventare energia. Il corpo qui è completamente dimenticato. Eppure, nel Cristianesimo la resurrezione dei corpi è fondamentale. Qui abbiamo ancora un Paradiso orientale simile al Nirvana, che non c'entra nulla con quello cristiano.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xx.html
  8. .
    38 - UN BEL VESTITO

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    A casa di Rosalie, il fratellino Paul gioca con Barone, mentre entra un cliente del ristorante (lo chiamano Pontignac). Ma tutti ascoltano Peline e parlano della novità: è diventata la segretaria di Pandavoine. La nonna di Rosalie è contenta e aggiunge che è un incarico molto importante. Rosalie, rivolta a Peline, le dice:
    "Fai vedere alla nonna il buono del signor Pandavoine!"
    Peline, imbarazzata, tira fuori dalla borsa il buono per poter prendere un nuovo vestito al negozio di Madame Lachaise, che è il più caro ed elegante della città.

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    "Bisognerà anche prendere una stanza in affitto per Aurelie. Papà, potresti consigliarci qualcosa?" chiede Rosalie.
    "Forse la pensione dell'ingegnere? Sono 90 franchi al mese, però odia i cani".
    (NOTA: io credo che l'affitto sia molto meno. Peline ha ora uno stipendio di 90 franchi al mese: se quel prezzo fosse vero, allora lei spenderebbe tutto il suo stipendio per l'affitto!)
    "Una camera sola per lei, non può dare fastidio un cane, basta metterlo fuori. Aurelie, quella pensione è graziosa, poi la gestisce un mio zio, ti farà un trattamento di favore col prezzo, vedrai!" risponde Rosalie.
    "Bè, allora seguirò il vostro consiglio. Però verrò sempre a mangiare da voi" conclude Peline.

    Lei e Rosalie vanno alla pensione e il gestore mostra loro la stanza: è ampia e spaziosa.
    "E' assolata, tranquilla" commenta lui "per 50 franchi al mese, colazione e pranzo compresi, è un affare."
    "Guarda, zio, che lei farà colazione da noi, puoi abbassare il prezzo" dice Rosalie.
    "In tal caso, si possono fare 20 franchi al mese."
    Peline è un pò incerta.
    "Ma Rosalie, non è un pò troppo lussuoso per me?"
    "Guarda che, se prendi una camera che valga meno, ti farai ridere dietro."
    "Allora va bene. Signore, posso tenere il mio cane?"
    "Oh, ha un cane? Certo, può stare fuori, però. In tal caso, saranno 25 franchi."
    "Ehi, zio, sei avaro!" protesta Rosalie.

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    Successivamente, Rosalie e Peline vanno al negozio di Madame Lachaise.
    "Mi vergogno un pò ad entrare qui vestita in questo modo" dice Peline.
    "Ma dobbiamo farlo. Su, coraggio!" insiste Rosalie.
    Quando entrano, Madame Lachaise va da loro e dice:
    "Ragazze, questa è una boutique, non avrete sbagliato negozio?"
    "Falle vedere il buono" dice Rosalie, e Peline glielo mostra.
    Madame Lachaise allora sorride e dice:
    "Ah, un buono del signor Pandavoine. Va bene, accomodatevi. Volete qualcosa per tutte e due?"
    "Solo per lei" risponde Rosalie "dei vestiti, cappelli, scarpe."
    "Ma certo, venite. Per lei credo vada bene un vestito col bluette, che ne dice?" risponde lei mostrando a Peline una stoffa raffinata. "E' un pò costosa, ma di qualità" aggiunge.
    "Non so, sono incerta" risponde Peline "Preferirei un vestito già pronto per domani."
    "Ma con quel buono potete farvi fare un vestito apposta. Volete sprecarlo per un vestito già confezionato?" risponde seccata Madame Lachaise.
    "Ecco, preferirei così."
    "Va bene: ecco, questi vestiti sono molto carini, coi merletti."
    "Vorrei un vestito un pò più scuro, non così vivace, senza molti merletti" risponde Peline "e con una semplice stoffa, che non costi troppo."
    "Ah ah ah" ridacchia Madame Lachaise "Lei ha gusti molto sobri. Osservi pure quello che abbiamo."

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    Si allontana da loro e dice sottovoce all'inserviente:
    "Occupati tu di loro, non le sopporto, quella è una sempliciotta."
    Rosalie chiede a Peline:
    "Ma perchè vuoi un vestito scuro?"
    "Non so, ma mia madre è morta solo da due mesi e non mi sembra giusto vestirmi in un modo troppo vistoso in questo momento."
    Rosalie si guarda in giro e nota un vestito blu scuro sobrio, ma elegante.
    "Cosa ne dici di questo, Aurelie? E' semplice, ma giovanile. Guarda, ti sta bene."
    "Hmm...sì, questo mi piace."
    "Allora lo prendiamo?"
    "Sì"
    "Prendiamo questo" dice Rosalie, e Madame Lachaise ironizza:
    "Non cercavate un vestito scuro? Siete un pò volubili, vero?"
    "Sì, è un pò troppo semplice, ma a me piace." risponde Peline.
    "Di certo sarà difficile che si sporchi" risponde Madame Lachaise, ridacchiando.
    E Rosalie risponde, offesa:
    "E' da quando siamo venute qui che ci parlate in modo offensivo. Ma lo sapete chi è lei? E' la segretaria privata del signor Pandavoine!"
    "Ma che dite?" risponde lei, incredula.
    Però la donna che fa l'inserviente la chiama e le dice sottovoce:
    "Madame Lachaise, guardi che stamattina mi avevano detto che sarebbe arrivata la segretaria del signor Pandavoine."
    "Ma allora perchè non me l'hai detto?" replica lei, sorpresa.
    "Perchè non pensavo che fosse lei, a giudicare da com'è vestita."
    Madame Lachaise torna da loro, imbarazzata e dice:
    "Mi dispiace, perdonatemi, Non lo direte al signor Pandavoine, vero?"

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    Alla sera, Peline, nella stanza dell'albergo, si prova il vestito e si guarda allo specchio soddisfatta.
    "Sono contenta."
    Però non riesce a dormire: per la prima volta da molto tempo, ha un letto morbido e la prospettiva di un lavoro importante domani. Esce con Barone e ritorna un'ultima volta al padiglione di caccia, dove è stata finora, per salutarlo. Ma quella sera, Madame Lachaise va alla pensione per scusarsi con Peline: così lei e l'albergatore si accorgono che non c'è. Allora pensano che, forse, è andata fuori a divertirsi.

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    La mattina dopo, Peline si sveglia nella capanna: raccoglie tutto e si prepara a partire. Ormai ha capito l'importanza di contare su se stessa.
    "Dobbiamo dire addio a questo posto, Barone. Addio e grazie" e si allontana.
    Alla fabbrica arriva il signor Pandavoine col nuovo conducente: Peline è all'entrata che lo aspetta. Dopo averlo salutato, gli prende la mano ed entrano.
    "Per prima cosa, mi devi leggere il giornale d'oggi, nella sezione tessile."
    "Sì, signor Pandavoine."
    "Inoltre, alle tre del pomeriggio farò un giro nella fabbrica, mi accompagnerai."
    "Va bene."
    "Se avrò bisogno, ti chiamerò. Ah, un'altra cosa. Ho saputo che sei andata ieri dal negozio di Madame Lachaise. Ora hai il vestito nuovo?"
    "Sì, signor Pandavoine."
    "Purtroppo non posso vederlo. Ma entro oggi saprò che vestito hai preso."
    "Sono sicura che le piacerà."
    "Hmm, sembri sicura. Va bene, puoi andare."

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    Peline entra nel suo studio, mentre arriva Toluel per parlare con Pandavoine. Mentre Peline si siede e inizia il lavoro, sente bussare: è l'ingegner Fabry.
    "Scusa, Aurelie, ero venuto a salutarti e a vedere il nuovo vestito. Potresti alzarti? Mi piacerebbe vederlo bene."
    Peline si alza e Fabry la osserva attento.
    "Ti sta molto bene."
    "Ma è venuto qui solo per questa cosa da nulla?" dice lei sorridendo.
    "Non è una cosa da nulla, credimi, Aurelie. Dopo facciamo colazione?"
    "Certo, con Rosalie."
    "Va bene" ed esce.

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    Intanto, Toluel dice a Pandavoine riguardo al fatto che Peline è uscita dalla pensione la sera prima.
    "Non voglio assolutamente parlar male, ma è strano questo fatto che non abbia dormito nella pensione ieri notte, no?"
    Pandavoine è silenzioso. Dopo che Toluel se n'è andato, chiama Peline e le dice:
    "Aurelie, non vorrei aver dato l'incarico di segretaria ad una ragazza frivola. Tu vivi da sola? Credevo che tu vivessi col tuo parente che avevi trovato a Maraucourt."
    "Non ho potuto parlargli...temevo che mi avrebbe accolto freddamente, per via del fatto che aveva litigato coi miei genitori. Volevo aspettare il momento migliore per incontrarlo. Ero arrivata a Maraucourt senza soldi e ho dovuto vivere da sola: ho potuto trovare lavoro presso la vostra fabbrica."
    "Anch'io ho dovuto impegnarmi con mie mie sole forze. Ma tu hai solo 13 anni. Tuttavia, ieri notte tu non hai dormito nella pensione. Come mai?"
    "Ero andata nel padiglione di caccia nel laghetto."
    "Lo conosco, è di mia proprietà. Hai dormito lì?"
    "Sì."
    "E come mai?"
    "Volevo farlo un'ultima volta. Sono stata lì tutto il tempo in cui ho abitato a Maraucourt."
    "Da sola? E non hai avuto paura?"
    "C'era il mio cane con me."
    "Ma quello è un posto umido."
    "Sì, ma mi coprivo. Avevo la mia biancheria, prendevo dei pesci, delle bacche..."
    "Devi raccontarmi tutto in ogni particolare. Dobbiamo andare a fare la visita all'altra fabbrica. Guiderai la carrozza e lì mi racconterai."
    "Va bene."

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    "Ah, un'altra cosa. Il vestito che hai preso ha fatto una buona impressione, ho sentito i commenti."
    "La ringrazio."
    Non ha speso soldi, eppure nessuno la costringeva, pensa Pandavoine.
    Sotto lo sguardo sospettoso di Toluel, che osserva dalla finestra, Peline sale sulla carrozza con Pandavoine e i due partono: durante il viaggio, Peline racconta tutto al nonno sulla sua casetta nel bosco.

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    LA CAMERA DI PELINE

    E' una camera d'albergo ben arredata. Peccato che i giapponesi, abituati al futon, non abbiano l'idea della funzionalità di un letto: dove sarebbe il comodino? E la lampada per leggere qualcosa? Inoltre, i cuscini in fondo al letto sono cuscini da divano, non da letto. I mobili, tra l'altro, sono così vicini al letto che è facile prendere delle pacche ogni volta che scendi da lì. La specchiera non ha neanche una sedia...insomma, la camera così realizzata è bella, ma è poco funzionale.

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    L'INTERNO DI MADAME LECHAISE

    Più che una boutique, sembra di entrare in una serra, con tutti quei vetri, piante e fiori. Non si vede manco un vestito (tranne uno a destra). Se poi compare una scala appena entri, questo ti fa pensare di dover salire al primo piano...

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  9. .
    30 - UN RAGGIO DI SOLE

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    Heidi e la nonna usano i pupazzi davanti al letto di Clara, ancora convalescente, per recitare Cappuccetto Rosso. Vorrebbero fare poi la Bella Addormentata o Biancaneve, e per fare questo Heidi cambia il vestito al lupo. Ma per sbaglio lega il vestito alla tovaglia. Va da Clara col pupazzo del lupo col vestito modificato per interpretare (?) la Bella Addormentata o Biancaneve (perchè Heidi pensa che basti cambiare il vestito e non la faccia). All'improvviso compare la Rottenmeier, che si spaventa a vedere il pupazzo.
    "Mi scusi" dice Heidi "non la volevo spaventare."
    "E' nauseante. Cosa ci fai con quel topo?"
    "E' un lupo. L'ha comperato la nonna."
    "Cosa ci fa qui? Niente animali qui dentro, nemmeno finti! Dammelo!"
    La Rottenmeier strappa il pupazzo dalla mano di Heidi, ma la nonna glielo prende e osserva:
    "E' molto bello. Mostriamolo a Clara" dice a Heidi.
    "Ma lei deve riposare" protesta la Rottenmeier.
    Però vanno lì.
    "Ma non doveva somigliare a Biancaneve?" chiede Clara, guardando il lupo.
    "Ci ho provato" dice Heidi.
    "E' l'ora della medicina" dice la nonna, che prepara un cucchiaio "Forza" aggiunge porgendo il cucchiaio a Clara.
    "Ma l'ho già presa stamattina" protesta lei "Non mi piace, è cattiva!"
    "Su, non fare la sciocca" dice la nonna.
    "Forse il dottore può fare una medicina dolce. Posso andare a chiederglielo?" dice Heidi.
    "Va bene, vai con Giovanni il cocchiere" risponde la nonna, e Heidi parte.
    "Hai visto com'è brava lei? Su falle un favore, prendi la medicina, così guarirai presto" osserva la nonna, e Clara prende la medicina.
    "Non è buono" protesta lei.
    "Ma ti fa bene" conclude la nonna.

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    Intanto, Heidi va dal dottore, in carrozza, col cocchiere. Entra nello studio: vede uno scheletro e si spaventa.
    "Oh, la bambina svizzera" dice il dottore "Sei malata?"
    "Credo quasi di sì, adesso" risponde lei.
    "Oh, ti sei spaventata? Stà tranquilla, è solo uno scheletro finto che mi serve per le cure. Sei qui per Clara, vero? Adesso ti preparo la medicina per lei."
    "Non se ne può fare una più dolce, dottore?"
    "No, dev'essere fatta così. Deve guarire pian piano da sola. Non sono un mago. Ecco, deve prendere solo qualche goccia. Prendere troppe medicine è pericoloso."
    "Va bene, lo dirò a Clara."
    "Lo so. Lei è sempre in casa. Sole e aria buona le farebbero bene."
    "Sì, avrebbe bisogno di sole. Come si fa a prendere un raggio di sole?"
    "Ah, non lo so."

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    Heidi sale sulla carrozza e dice al postiglione:
    "Portiamo a casa il sole."
    "Eh?"
    "Sì, se mi porti nel bosco di ieri, a prendere il sole ci penso io."
    "Ma che stai dicendo?"
    "Si fidi, faremo in fretta!"
    "Boh, andiamo."
    Vanno nel bosco e Heidi raccoglie i fiori.
    "Fai in fretta, se no la Rottenmeier si arrabbia" osserva Giovanni, il postiglione. Arrivano i due ragazzi che Heidi e Clara avevano incontrato prima al bosco.
    "Ehi, c'è la ragazza di prima. Dov'è la tua amica in carrozzella?"
    "Clara è malata, le sto raccogliendo dei fiori" risponde lei.
    "Ce ne sono di più belli, ti portiamo lì: se corriamo facciamo prima."
    Heidi li segue e vede un ruscello con molti fiori, ancora più profumati e colorati. Li raccoglie e incontra delle donne che lavano i panni; inoltre, c'è un cesto abbandonato e mezzo immerso nel fiume, dove si riflettono i raggi del sole.
    "Posso prendere questo cesto?" chiede Heidi.
    "Certo, non è di nessuno" rispondono.
    Heidi lo prende e ci mette dentro i fiori, mentre i ragazzi ci mettono dentro le farfalle. I ragazzi aiutano Heidi a portare il cesto fin sulla carrozza.
    "Salutaci Clara" le dicono.

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    Tornano a casa Sesemann, dove Sebastiano e Tinette aspettano Heidi, mentre la Rottenmeier è arrabbiata. Heidi chiede a Giovanni e Sebastiano di aiutarla a portare su la cesta.
    "Cosa c'è lì?" chiede la Rottenmeier, sospettosa.
    "E' una sorpresa per Clara" dice Heidi.
    "E cosa sarebbe?"
    "E' un segreto" risponde lei.
    "Conosco i tuoi segreti! Gatti e altre cose del genere! Portatelo via!"
    "In questo cesto c'è il sole" insiste Heidi "Il sole farà bene a Clara!"
    "Che stai dicendo?"
    Ma la nonna interviene e dice di portare il cesto nella camera di Clara. Heidi lo apre: tutte le farfalle escono e dentro ci sono un mucchio di fori profumati. Heidi apre la finestra e le farfalle volano via. Tutti applaudono.
    "E' stato bellissimo, non me lo dimenticherò mai" dice Clara sorridendo.
    "Ti ho portato anche i fiori" le fa vedere Heidi "Li ho presi in quel bosco."
    "Mi piacerebbe tornarci" commenta Clara.
    "Prima devi guarire" dice la nonna.

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    Pochi giorni dopo, Heidi porta fuori Clara nel cortile di casa Sesemann. Ormai è guarita.
    "Diventerà sempre più forte" commenta il dottore, osservando la scena dalla finestra.
    "Ora posso tornare a casa" aggiunge la nonna, accanto a lui.
    "E le bambine?"
    "Non ho avuto ancora il coraggio di dirglielo."
    "Clara ha bisogno di lei, perchè non resta qui?" chiede il dottore.
    Ma la nonna non risponde.

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    NOTE

    Il bilancino del dottore. I dettagli sono notevoli: i bilancini di una volta erano fatti proprio così. Notate anche i piccoli pesi misurati a destra.

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    Heidi saluta le farfalle che volano via dalla finestra: bene. Il problema è che lei lo fa coi piedi sulla finestra. Al secondo o terzo piano. Poteva spatafasciarsi sul marciapiede. Ma nè Clara, nè la nonna dicono niente. :huh:

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    Oltre alle farfalle, il cesto conteneva un mucchio di fiori profumati.

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  10. .
    AIDA

    L'opera fa parte della tradizione italiana: ogni tanto ne presenterò qualcuna delle più famose. La prima che vene in mente a tutti è l'Aida: questa è la sua storia.

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    Aida è un'opera in quattro atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio Ghislanzoni, basata su un soggetto originale dell'archeologo francese Auguste Mariette, primo direttore del Museo Egizio del Cairo. Ismail Pascià, il khedivè (vicerè) d'Egitto, commissionò a Verdi un inno o un'opera per celebrare l'apertura del Canale di Suez (1869).

    Verdi, però, declinò la proposta, sostenendo di non essere abituato a scrivere musica d'occasione o di circostanza. Inoltre, non era disposto ad affrontare un lungo viaggio per mare per recarsi in un paese lontano come l'Egitto. Ma il khedivè insistette: mandò l'egittologo Auguste Mariette, il quale a sua volta si rivolse come intermediario a Camille du Locle, direttore dell'Opéra-Comique (si tratta di un genere operistico francese che contiene dialoghi parlati e alternati ad arie od ariette cantate). Lei era anche autrice del libretto di Don Carlos. Mariette (che realizzò i costumi e gli accessori per la prima) descrisse alla du Locle il soggetto e lei, prima di sottoporlo a Verdi, lo ampliò sensibilmente, stendendo di fatto l’intero piano dell’opera.

    Alla fine, Verdi fu convinto: inoltre, non era necessario che lui si dovesse recare di persona in Egitto, potendo realizzare le prove a Parigi o a Milano. A convincerlo definitivamente fu però la lettura dello scenario, che trovò "ben fatto e splendido nella sua messa in scena". Come condizione, impose un completo controllo sulla realizzazione del libretto, sull'allestimento e sulla scelta del cast.

    La prima, concordata per il Gennaio 1871, fu ritardata a causa dell'assedio prussiano a Parigi durante la guerra franco-prussiana, e della conseguente, terribile e sanguinosa Comune di Parigi, che impedì l'accesso ai laboratori dell'Opera dove erano stati realizzati costumi e scenografie.

    Alla prima del Cairo colpì l'utilizzo, nella Marcia trionfale ("Se quel guerrier io fossi..."), di lunghe trombe, ispirate alle trombe egiziane. Fu un enorme successo: Verdi, però, considerava decisiva la prima italiana (ed europea), tenutasi alla Scala di Milano l'8 febbraio 1872. E anche a Milano Aida fu accolta con grande entusiasmo.

    Famose furono le performance del 1955 di Tullio Serafin con Maria Callas interprete di Aida e Richard Tucker come Radames; e pure quella del 1959, diretta da Herbert von Karajan, con Renata Tebaldi nei panni di Aida e Carlo Bergonzi nel ruolo di Radames.

    AIDA-CALLAS
    Maria Callas interpreta Aida per la prima volta a Torino nel 1948: lo ripeterà 33 volte nella sua carriera, fino al 1953.


    IL FILM

    Nel 1953 fu prodotto Aida, trasposizione cinematografica dell'opera, diretta da Clemente Fracassi, con Sophia Loren nel ruolo di Aida e con la voce di Renata Tebaldi. Qui sotto abbiamo è la riedizione colorata degli anni '80.

    AIDA-SOPHIA



    TRAMA

    INIZIO

    Durante una guerra tra Etiopi ed Egiziani, Aida, la figlia del re degli Etiopi Amonasro, è stata fatta schiava e portata in Egitto, dove però nessuno conosce la sua vera identità. Durante la schiavitù, si innamora del comandante delle truppe egiziane, Radames, che ricambia il suo amore.

    ATTO I

    SCENA I: SALA DEL FARAONE A MENFI

    Radames e il sacerdote Ramfis parlano del prossimo attacco degli Etiopi. Il sacerdote dice che Iside ha scelto il condottiero che guiderà gli Egiziani contro gli Etiopi: poi se ne va. Radames si chiede chi sarà il condottiero: vorrebbe esserlo lui. E canta l'aria più famosa dell'opera: la Marcia Trionfale dell'Aida.

    Radames: Se quel guerrier io fossi!
    Se il mio sogno si avverasse!
    Un esercito di prodi da me guidato!
    E la vittoria... e il plauso di Menfi tutta!
    E a te, mia dolce Aida, tornar di lauri cinto
    Dirti: "Per te ho pugnato e per te ho vinto!"

    Celeste Aida, forma divina
    Mistico serto di luce e fior
    Del mio pensiero tu sei regina
    Tu di mia vita sei lo splendor

    Il tuo bel cielo vorrei ridarti
    Le dolci brezze del patrio suol
    Un regal serto sul crin posarti
    Ergerti un trono vicino al sol

    Oh, celeste Aida, forma divina
    Mistico serto di luce e fior
    Del mio pensiero tu sei regina
    Tu di mia vita sei lo splendor

    Il tuo bel cielo vorrei ridarti
    Le dolci brezze del patrio suol
    Un regal serto sul crin posarti
    Ergerti un trono vicino al sol
    Un trono vicino al sol
    Un trono vicino al sol


    Arriva Amneris, la figlia del Faraone, che ama Radames, e gli chiede come mai è così felice. Lui le risponde che vorrebbe essere il nuovo condottiero, senza svelarle il suo amore per Aida. In quel momento, arriva Aida, l'etiope prigioniera e schiava di Amneris: pure lei ama Radames. La principessa in quel momento sospetta che ci sia qualcosa tra i due: ma entrambi nascondono i loro sentimenti. Amneris pensa riguardo ad Aida:

    Amneris: Trema, rea schiava, trema!

    Arrivano il Faraone, Ramfis e altri che dicono che gli Etiopi, guidati dal loro re Amonasro, hanno attaccato l'Egitto. Aida sussulta: Amonasro, infatti, è suo padre. Il Faraone nomina Radames come condottiero. Deve andare al Tempio di Vulcano per la nomina e ricevere le armi. Tutti cantano:

    Tutti: Guerra e morte, morte allo stranier!

    Aida è disperata e non sa per chi pregare: Radames o suo padre? E Amneris canta a Radames:

    Amneris: Ritorna vincitor!

    Anche Aida è costretta a cantarlo insieme a tutti, e si tormenta per questo:

    Aida: Dal mio labbro uscì l'empia parola.

    SCENA II: INTERNO DEL TEMPIO DI VULCANO A MENFI

    Avvengono le cerimonie solenni e la danza sacra delle sacerdotesse: Radames è nominato comandante in capo.

    ATTO II

    SCENA I: STANZA DI AMNERIS

    Amneris mette alla prova Aida: le fa credere che Radames sia morto e lei si dispera. Amneris ha capito quindi che Aida ama Radames e la minaccia, dicendole che lei è solo una serva, mentre Amneris è di stirpe reale. Aida sta per risponderle fieramente che anche lei è di stirpe reale, essendo figlia di re Amonasro: ma si trattiene. Chiede perdono ad Ameris, ma lei è inesorabile: quando all'improvviso si sentono i suoni della vittoria di Radames sugli Etiopi, Amneris la costringe a seguirla per vedere coi suoi occhi la rovina del suo popolo prigioniero.

    Amneris: Trema, vil schiava! Spezza il tuo core.
    Del tuo destino arbitra son.
    D'odio e vendetta le furie ho in cor. (...)
    Alla pompa che s'appresta,
    Meco, o schiava, assisterai;
    Tu prostrata nella polvere,
    Io sul trono, accanto al Re.

    AIDA-AMNERIS



    SCENA II: UNO DEGLI INGRESSI DELLA CITTA' DI TEBE

    Radames torna vincitore, e il faraone decreta che egli potrà avere tutto quello che desidera. I prigionieri etiopi sono condotti alla presenza del Re; tra loro figura Amonasro, travestito da ufficiale, e Aida accorre subito ad abbracciare il padre. Tutti capiscono che Amonasro è il padre di Aida: ma nessuno sa ancora che lui è il re degli Etiopi. Amonasro dichiara al Faraone che il Re etiope è stato ucciso in battaglia. Animato dal suo amore per Aida, Radames desidera che i prigionieri siano liberati. Il Faraone accetta e anzi lo proclama suo successore al trono, concedendogli la mano della figlia Amneris. Ma Radames, in segreto, non lo desidera:

    Radames: Ah no! d'Egitto il trono
    Non val d'Aida il cor.


    Su consiglio del sacerdote Ramfis, però, fa restare a Tebe Aida e Amonasro come ostaggi, per assicurarsi che gli Etiopi non cerchino di vendicare la loro sconfitta.

    ATTO III

    SCENA I: LE RIVE DEL NILO, VICINO AL TEMPIO DI ISIDE

    Mentre Amneris va a pregare al tempio di Iside, arriva Aida, che ha un appuntamento con Radames di nascosto: attende rimpiangendo la sua patria.

    Aida: Qui Radames verrà!... Che vorrà dirmi?
    Io tremo... Ah! se tu vieni
    A recarmi, o crudel, l'ultimo addio,
    Del Nilo i cupi vortici
    Mi daran tomba... e pace forse, e oblio.

    O patria mia, mai più ti rivedrò!
    O cieli azzurri, o dolci aure native,
    Dove sereno il mio mattin brillò,
    O verdi colli, o profumate rive,
    O patria mia, mai più ti rivedrò!
    O fresche valli, o queto asil beato,
    Che un dì promesso dall'amor mi fu;
    Or che d'amore il sogno è dileguato,
    O patria mia, non ti vedrò mai più!


    All'improvviso, arriva suo padre Amonasro, che ha capito l'amore tra Aida e Radames:

    Amonasro: A te grave cagion
    M'adduce, Aida. Nulla sfugge al mio
    Sguardo. D'amor ti struggi
    Per Radames... ei t'ama... qui lo attendi.
    Dei Faraon la figlia è tua rivale...
    Razza infame, aborrita e a noi fatale!

    Aida: E in suo potere io sto! Io, d'Amonasro
    Figlia!

    Amonasro: In poter di lei! No!... se lo brami
    La possente rival tu vincerai,
    E patria, e trono, e amor, tutto tu avrai.
    Rivedrai le foreste imbalsamate,
    Le fresche valli, i nostri templi d'or.


    Amonasro rivela alla figlia che gli Etiopi sono già armati e pronti per la vendetta; ma bisogna sapere dove gli Egiziani attaccheranno.

    Amonasro: Non fia che tardi. In armi ora si desta
    Il popol nostro, tutto è pronto già.
    Vittoria avrem... Solo a saper mi resta.
    Qual sentier il nemico seguirà.


    Amonasro costringe la figlia a farsi dire da Radames dove gli Egiziani attaccheranno: o questo o la fine degli Etiopi. Aida è costretta ad accettare ed esclama:

    Aida: O patria! o patria, quanto mi costi!

    Arriva Radames e Amonasro si nasconde tra le palme. Radames gli dice che ha accettato per finta di fidanzarsi con Amneris: sa che gli Etiopi attaccheranno ancora, ma, quando sarà di nuovo il condottiero, rivelerà al Faraone che lui ama Aida. E visto che ha bisogno di lui, accetterà il fatto. Aida gli propone di fuggire: ma Radames non può abbandonare la sua terra e il suo popolo. Alla fine accetta, e Aida chiede a Radames dove potranno evitare le schiere degli Egiziani, nella loro fuga: e questa è l'informazione che voleva sapere Amonasro. Radames risponde di evitare le gole di Napata, e Amonasro si rivela a Radames dicendo che potrà attaccare a Napata: infatti lui è il re degli Etiopi. Radames allora canta:

    Radames: Io son disonorato!
    Per te tradii la patria!


    Arrivano Amneris e gli altri, che lo accusano di tradimento. Amonasro cerca di uccidere Amneris, ma Radames si mette di mezzo e dice ai due di fuggire. Amneris e Aida fuggono, mentre Radames si consegna al sacerdote Ramfis.

    ATTO IV

    SCENA I: SALA DEL PALAZZO DEL FARAONE. ANDITO A DESTRA CHE CONDUCE ALLA PRIGIONE DI RADAMES.

    L'attacco degli Etiopi guidati da Amonasro è stato respinto ed è successa una strage: gli Egiziani sono i vincitori definitivi. Volendo salvare Radames, Amneris lo supplica di discolparsi, ma egli rifiuta. Infatti crede che Aida, nello scontro finale con gli Etiopi, sia morta: ma Amneris gli rivela che lei è viva, è morto Amonasro invece, con gli altri. Anche se nessuno sa dove sia ora lei. Rinuncia a lei per sempre, dice Amneris, e tu vivrai. Ma Radames rifiuta. Inizia il processo e Ramfis e i sacerdoti chiedono a Radames di discolparsi: ma lui rifiuta di farlo.

    Ramfis: Radames! Radames! Radames! Tu rivelasti
    Della patria i segreti allo stranier!
    Discolpati!


    Sacerdoti: Discolpati!

    Ramfis: Egli tace.

    Ramfis, Sacerdoti: Traditor! Traditor! Traditor!

    Amneris si appella ai sacerdoti affinché gli mostrino pietà. Ma Radames viene condannato a morte per alto tradimento e sarà sepolto vivo: Amneris allora maledice i sacerdoti:

    Amneris: Empia razza! Anatema su voi!
    La vendetta del ciel scenderà!
    Anatema su voi!


    Poi si allontana, mentre Radames viene portato via.

    SCENA II: LA TOMBA DI RADAMES

    I sacerdoti chiudono la tomba di Radames:

    Radames: La fatal pietra sovra me si chiuse...
    Ecco la tomba mia. Del dì la luce
    Più non vedrò... Non revedrò più Aida.


    Radames crede di essere solo, ma pochi attimi dopo si accorge che Aida si era nascosta nella sua cripta prima che arrivassero, per morire con lui.

    AIDA-SEPOLCRO
    Radames e Aida nella tomba.


    I due amanti accettano il loro terribile destino, confermano l'amore l'un per l'altro, dicono addio al mondo e alle sue pene e aspettano l'alba, mentre Amneris piange e prega sopra la loro tomba durante le cerimonie religiose e la danza di gioia delle sacerdotesse.

    Aida e Radames: O terra, addio; addio, valle di pianti...
    Sogno di gaudio che in dolor svanì.
    A noi si schiude il ciel e l'alme erranti
    Volano al raggio dell'interno dì.


    Aida muore tra le braccia di Radames.
  11. .
    GALACTUS CONTRO LA SFINGE (seconda parte)

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    Immagine di Walt Simonson


    TERRAX IL DOMATORE: L'ULTIMO DEGLI ARALDI DI GALACTUS

    In questa saga, oltre al personaggio di HERBIE, Wolfman crea anche il personaggio di Terrax il domatore, il nuovo araldo di Galactus. Il primo araldo era stato Silver Surfer, seguito da Gabriel, poi dal Signore del Fuoco (Firelord) e, per un certo periodo, dal Distruttore, la creatura di Odino. Ma Terrax è, in pratica, l'araldo definitivo: poi vediamo il perchè.

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    Prima di accettare la proposta di Reed di affrontare la Sfinge, Galactus li manda a catturare una persona adatta ad essere il suo nuovo araldo. Vengono mandati nel pianeta Lanlak, dove vengono fatti prigionieri e mandati alla capitale Terran, al cospetto del dittatore Tyros. Oltre a spassarsela come fanno tutti i dittatori, ha anche dei poteri particolari: può mandare dei raggi dalle mani e comandare alla terra. Quindi ha già un suo certo livello di potenza di base, oltre ad essere un tizio senza scrupoli.

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    Ora, Terrax è il quarto araldo: il Distruttore non conta, perchè era stato creato da Odino, non da Galactus. Il primo araldo era stato Silver Surfer, che richiamava l'acqua; Gabriel rappresentava l'aria; il Signore del Fuoco la fiamma; quindi rimaneva solo l'ultimo elemento da utilizzare, la terra. Wolfman fa il parallelo dei quattro araldi coi Fantastici Quattro, che rappresentano anche loro i quattro elementi base: Mister Fantastic l'acqua, la Donna Invisibile l'aria, la Torcia Umana il fuoco e la Cosa la terra.

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    Galactus trasforma Tyros in Terrax senza nemmeno chiedergli il permesso, una cosa insolita da parte sua. Infatti, fino ad ora trasformava le persone nei suoi araldi solo se loro glielo chiedevano: e in cambio Galactus avrebbe risparmiato il loro mondo. Ha fatto così con Silver Surfer/Norrin Radd, risparmiando il suo pianeta Zenn-La, e pure col Signore del Fuoco, alias Pyreus Kryl, risparmiando il suo mondo, Xandar (lo stesso di questa storia). Su Gabriel non si sa nulla: i Fantastici Quattro avevano affrontato solo un robot con le sue sembianze. Ma si può pensare che anche a lui sia successo lo stesso. Pure in una storia futura, Galactus prenderà Frankie Raye, alias la nuova Nova dei Fantastici Quattro, facendola diventare un nuovo araldo e risparmiando così la Terra. Ma con Tyros è diverso: lo obbliga a diventare Terrax. Come mai?

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    Perchè Tyros è un uomo senza morale, come lo è Galactus: tutti gli araldi precedenti avevano comunque una loro morale - soprattutto Silver Surfer - e non avrebbero potuto continuare a sacrificare altri pianeti per lui. Per uno come Tyros non ci sarebbero stati problemi, invece. Quindi l'unica soluzione per Galactus era prendere un pezzo di farabutto da due soldi da utilizzare come..."assassino" al suo servizio.

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    Terrax può comandare alla terra e varcare gli universi sopra un meteorite; inoltre, ha in mano un'arma, l'ascia cosmica. Come potenza è ad un livello assai elevato, come lo sono tutti gli araldi di Galactus. Cerca persino di ribellarsi subito a Galactus: infatti, il suo nome originale è Terrax the untamed, cioè "Terrax l'indomito", quindi colui che non si fa domare. Galactus, però, lo costringe ad obbedirgli. Ma la traduzione della Corno, Terrax il domatore, è assai più efficace di "indomito". Non è necessario essere pedissequamente precisi nelle traduzioni: la traduzione non deve esser solo esatta, deve anche essere azzeccata per il lettore di quel paese che la legge. Infatti è necessaria una certa libertà nel tradurre. Invece, adesso, traducono tutto automaticamente, senza alcuna vera passione per la vera traduzione, oppure non traducono affatto, lasciando i nomi così come sono. Una miseria =_=
    Ma, tornando a Terrax, lui sarà la causa di uno scontro ancora più drammatico di quello tra Galactus e la Sfinge: per vendicarsi dei Fantastici Quattro, che lo avevano portato da Galactus, li attacca mentre il suo padrone è impegnato contro la Sfinge, per ucciderli. E la situazione qui è veramente tragica: Reed e Ben sono invecchiati, Sue è in coma e solo la Torcia è nel pieno delle sue forze. Ma contro una persona che possiede il potere cosmico, non c'è speranza. Quindi, più che svantaggiati, qui i Fantastici Quattro sono praticamente morti. Un ottimo colpo di scena di Wolfman.

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    Nello scontro, abbiamo uno dei colpi più memorabili dell'intera serie: anche se la Cosa è invecchiata, il suo coraggio rimane lo stesso. Il cazzotto è così forte che Terrax perde la presa della sua ascia, permettendo così a Johnny di intervenire. In questo modo, però, la Cosa ha perso tutte le sue energie e cade a terra senza più forze: non ha neanche più la capacità di muoversi. Ma la sua preoccupazione è che si salvino Reed e Sue: non ha neanche un pensiero per se stesso. Ovviamente vuole sopravvivere, ma è preoccupato per gli altri. Inoltre, Ben è sempre stato quello che più le prende e più reagisce: per quanto sia forte, ha affrontato spesso persone più forti di lui: Hulk, Sub Mariner e tanti altri, ma non ha mai mollato.

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    Johnny manda contro Terrax una Fiamma Nova, cioè la più forte che ha, a livello del sole: ma questo per Terrax non è niente. L'araldo di Galactus, tuttavia, conosce la violenza, ma non la tattica: la Torcia ha solo surriscaldato al massimo l'avversario, per poi sottoporlo al freddo estremo dei tubi di condensa dell'astronave di Galactus. Per pareggiare l'intenso calore di Johnny, infatti, i tubi hanno dovuto scendere alla temperatura dell'ossigeno liquido (-183°C: non è lo zero assoluto, ma ci si avvicina). Terrax non si aspettava questo e rimane scioccato dal cambiamento repentino di temperature estremi. Inoltre, essendo un araldo da poco tempo, non può reagire facilmente a situazioni limite. Quindi la sua caduta è comprensibile: anche perchè Johnny sa bene che la sua vittoria è solo temporanea. Ma l'importante è che Terrax sia tenuto a bada per un pò, fino a quando Galactus non avrà sconfitto la Sfinge. Dopo che si sarà ripreso, non potrà più agire liberamente. Questo per rispondere alle obiezioni che sono state fatte spesso su questa scena. Infatti, a molti sembrava forzato che si potesse abbattere un araldo di Galactus così facilmente, Ma se si vedono le circostanze, si capisce che la scena può stare in piedi.

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    Per concludere, una curiosità: quando, qualche anno dopo, Wolfman passerà alla DC realizzando le storie dei Nuovi Giovani Titani (New Teen Titans) insieme a George Perez, tra i vari personaggi farà anche la criminale Terra, che comanda appunto la terra, come faceva Terrax.

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    LA STORIA DELLA SFINGE

    La Sfinge ha un passato che si intreccia con la storia biblica. Infatti, all'inizio era stato un mago egiziano al servizio del Faraone d'Egitto, Ramsete: lo stesso Faraone al quale Mosè, inviato da Dio, aveva chiesto più volte di liberare il popolo ebraico. E la scena dei serpenti è la stessa descritta nell'Esodo (7, 10 e segg.): "Mosè ed Aronne vennero dal Faraone e fecero come aveva ordinato il Signore: Aronne gettò il suo bastone davanti al Faraone e davanti ai suoi servi, e diventò un serpente. Ma anche il Faraone chiamò sapienti e incantatori, ed anche i maghi d'Egitto coi loro sortilegi fecero così. Ognuno gettò il proprio bastone, che diventò un serpente, ma il bastone di Aronne ingoiò i loro bastoni. Tuttavia il cuore del Faraone restò duro e non li ascoltò, come aveva detto il Signore." Quindi, per essere precisi, il bastone di Mosè (usato da Aronne) divenne un serpente che divorò i numerosi serpenti dei maghi egiziani, non uno solo, come descritto nella scena del passato della Sfinge. Ma non importa: il mago che diventerà la Sfinge viene bandito dall'Egitto per ordine del Faraone e si allontana vagando nel deserto.

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    Dopo anni, trovò un misterioso tempio abbandonato dove c'era una pietra, alla quale si sentiva attratto: era la pietra di Ka, la pietra della vita. Se la mise sulla fronte e divenne la Sfinge, un essere di grande potenza e immortale. In questo modo, attraversò le epoche e i secoli.

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    Ma alla fine si stancò della sua immortalità e cercò di liberarsene, per trovare sollievo nella morte. Ma la pietra Ka, che era diventata parte di lui, non gli avrebbe mai permesso di morire. Quindi la sua immortalità divenne la sua prigione. Cercò più volte di morire, senza mai riuscirci.

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    Che futuro poteva avere uno che era immortale? Vagando e cercando informazioni, trovò alla fine un tempio nascosto nell'Himalaya, dove si trovava Sayge, lo specchio della Verità: gli chiese quale fosse il suo futuro e Sayge glielo mostrò. La visione terrorizzò la Sfinge, che volle cercare in tutti i modi di evitare un destino così orribile. Cercò anche di uccidere Sayge: ma lui era al di là del suo potere. Il personaggio di Sayge era già apparso nelle storie del Dottor Strange col nome di Veritas, la personificazione della Verità.

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    Nell'affrontare Nova, la Sfinge scopre che i suoi poteri vengono da Xandar, dove ci sono i Computer Viventi, che contengono il segreto per liberarlo dalla sua immortalità. Una volta raggiunto Xandar e assorbito la conoscenza dei Computer Viventi, la Sfinge diventa onnipotente: nè Nova nè i Fantastici Quattro lo possono più sconfiggere. Ebbro di potere, la Sfinge non considera più la possibilità di morire, ma quella di vendicarsi piuttosto della Terra, dove è vissuto per secoli da esule: quindi torna sulla Terra per distruggerla. Prima di farlo, atterra in Egitto, dove ricostruisce il regno egiziano di allora, con tutte le piramidi e i templi.

    LO SCONTRO TRA GALACTUS E LA SFINGE

    L'Osservatore, che appartiene a una razza di alieni deputata solo ad osservare e registrare, riassume i fatti: Galactus e la Sfinge si scontreranno sulla Terra. I suoi interventi sono rari, e accadono solo in circostanze cosmiche, come la saga di Fenice o quella dell'Occhio del Male. Quindi la sua presenza sottolinea l'importanza dell'evento.

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    La cosa curiosa è che la Sfinge si comporta come se sapesse già che Galactus lo vuole affrontare, prima ancora della sua venuta. Anzi, sapeva già che Terrax è l'araldo di Galactus: una cosa che era accaduta mentre lui era in viaggio, diretto verso la Terra. Quindi era strano che ne fosse a conoscenza. Le due entità cosmiche si affrontano nel deserto dell'Egitto.

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    Qui la Sfinge dice "le stesse parole", come se sapesse già quello che Galactus gli avrebbe detto.


    Anche durante lo scontro, la Sfinge dice "questa volta", come se si fossero già incontrati prima. E in effetti è così, anche se questo sarà capito solo dopo.

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    La disfatta della Sfinge è totale: dopo che Galactus lo ha abbattuto, non solo il suo costume va a brandelli...

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    ...ma ritorna alla sua forma umana, mentre la pietra Ka viene distrutta da Galactus. Quindi ora lui potrebbe morire, come voleva. Ed è in quel momento che compare Sayge, che sottolinea che "così è scritto". Quindi si sta compiendo proprio il destino che la Sfinge temeva.

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    La Sfinge protesta, dicendo che il suo fato è troppo terribile. Sayge gli risponde che nessuno può sfuggire al proprio fato. Si tratta del pensiero pagano, in cui, per ogni azione che tu faccia, che sia buona o cattiva, sarai comunque condannato dal Fato a finire come devi finire. E' il concetto di "Fato Ineluttabile", che si vede anche nel protestantesimo. Nell'ambiente protestante, non importa se una persona si comporta bene o si comporta male: è destinato comunque a finire in Paradiso o all'Inferno, per misterioso e insindacabile giudizio di Dio. Da qui l'angoscia protestante di cercare di essere tra gli "eletti": e un sicuro segno della predilezione divina è la ricchezza. Da qui, l'ansia dell'arricchimento che agita da sempre gli Stati Uniti: ci sono persone che hanno ricchezze equivalenti a quelle di una nazione. Anche se la maggioranza magari non è più credente, il sottofondo protestante comunque rimane. E da qui, l'ansia del cercare di arricchirsi ad ogni costo; da qui, il mito del self-made man, cioè dell'uomo che si fa da solo. Lo si vede anche nelle storie di Carl Barks, con Paperone che è il papero più ricco del mondo e con Paperino che cerca di guadagnare qualche soldo, o anche del Topolino di Gottfredson che cerca di trovare un lavoro e perde la testa quando si arricchisce. Il "destino" della Sfinge ha molte affinità con la predestinazione protestante.
    Nel cristianesimo cattolico invece, non esiste la predestinazione: ciascuno è libero di scegliere se andare in Paradiso o all'Inferno; e per andare in Paradiso si deve fare il bene e fuggire il male, seguendo Cristo. Nel cattolicesimo c'è la ricompensa e la punizione; nel protestantesimo, invece, non c'è nè ricompensa nè punizione, ma solo il terribile "destino" della predestinazione. Che in effetti è una cosa "troppo orribile", come protesta la Sfinge, e come freddamente invece conferma l'impassibile e crudele Sayge.

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    Il destino della Sfinge si compie: dovrà ripetere all'infinito la sua stessa storia. Questo spiega perchè la Sfinge aveva parlato a Galactus come se conoscesse già ogni sua battuta: perchè lo aveva già incontrato nel suo ciclo. Quindi sembra che la Sfinge avesse già percorso ripetutamente il suo ciclo infinito in questa storia. In effetti, è una visione da incubo: ma anche questa è la visione pagana, in cui la storia dell'uomo non è altro che un ciclo senza senso, che si ripete in continuazione: un cerchio dove tutto si ripete ciclicamente e incessantemente, all'infinito. E questo viene simbolizzato anche nella credenza della reincarnazione, che non è altro che andare avanti e indietro da un corpo all'altro.
    Anche qui, il cristianesimo contrasta totalmente col paganesimo: se nel paganesimo il simbolo della storia è una ruota, nel cristianesimo invece è una freccia. Si vive una volta sola, poi c'è il giudizio finale, in cui si va in Paradiso o all'Inferno, e la storia finisce qui; o meglio, va avanti all'infinito nell'al di là, perchè una linea retta come una freccia non finisce mai, va sempre avanti. Non c'è ripetizione nel cristianesimo: e, ovviamente, non c'è neanche reincarnazione. Nella visione della fine della Sfinge si sono riassunti due punti base del paganesimo, la predestinazione e la storia come ciclo ripetitivo: e un punto base del protestantesimo, cioè la predestinazione. Il protestantesimo, infatti, non ha una visione ciclica: qui è simile al cristianesimo, perchè anch'esso ha una visione rettilinea della storia.

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    LA CONCLUSIONE

    Galactus ha sconfitto la Sfinge e se n'è andato, come pure l'Osservatore: si sono comportati come divinità indifferenti, lasciando i Fantastici Quattro sul ciglio della morte. E' curioso il fatto che Reed, più invecchia, più diventa elastico fino quasi a perdere forma. Pure Reed, come Ben, prima di crollare, chiede a Johnny di pensare a salvare Sue e Ben. Ogni elemento del gruppo pensa sempre prima agli altri, poi a se stesso. Johnny mette Reed nella camera criogenica, poi chiede aiuto ad altri scienziati: Tony Stark/Iron Man, i Computer Viventi di Xandar, ma non riesce a trovare una soluzione.

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    Nel frattempo, lo Skrull X, che era comparso all'inizio della storia dando la caccia alla Suzerain di Xandar, si è ripreso ed è pronto ad uccidere Johnny. Non solo: ha anche i poteri dei Fantastici Quattro, proprio come il Super Skrull. Ma, in un impeto di rabbia, Johnny lo distrugge con la fiamma Nova, provocandone la distruzione: infatti, era un robot.

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    Però aveva in mano una pistola invecchiante, la stessa che ha fatto invecchiare gli altri tre del gruppo: la voleva usare contro Johnny. Quindi una possibilità c'è: esaminare la pistola e trovare da qui un rimedio. Ma Johnny non è capace di fare un lavoro simile.

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    Con cautela, Johnny fa uscire Reed dalla camera criogenica; i due, a fatica, riescono a ristrutturare la pistola. Poi Johnny la usa sui suoi tre compagni: ma non succede nulla, e Johnny si dispera. L'ultima speranza è andata in fumo.

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    Johnny vaga stordito per il Baxter Building, impotente, ricordando tanti avversari affrontati in passato, e qui sotto ce n'è una carrellata. Forse qualcuno dei vecchi fan se li ricorderà. Comunque, ecco i nomi: il primo sotto il balloon in alto è Sub Mariner, il principe di Atlantide; poi, andando a destra, abbiamo il Burattinaio, Hulk, il Seminatore d'Odio (porta una H sul cappuccio perchè il suo nome originale è "Hate-Monger", cioè "commerciante di odio". Ma, visto che un nome simile in italiano è ridicolo, la Corno ha fatto l'ottima traduzione di "seminatore"). Accanto, in basso, abbiamo un uomo pelato col bocchino per la sigaretta: si tratta di Gregory Gideon, lo spietato miliardario; poi abbiamo Dragon Man, e, accanto a lui, Galactus. Sotto Galactus, a sinistra, abbiamo Trapster, uno dei Terribili Quattro; poi, a destra, Klaw, il signore del suono. A destra di Klaw c'è la Sentinella Kree. A destra di Johnny abbiamo Diablo, il signore dell'alchimia; andando a destra abbiamo Wizard, il capo dei Terribili Quattro, poi l'Uomo Sabbia e Blastaar, la bomba vivente. Sotto Johnny abbiamo Molecola, e, andando a destra, la Peste dello Spazio e l'Uomo Invincibile. A sinistra di Molecola abbiamo il Fantasma Rosso; sopra di lui abbiamo, nell'ordine: il Pensatore Pazzo, Kurrgo del pianeta X e Rama-Tut, il faraone del futuro. A sinistra del Fantasma Rosso abbiamo il Dottor Destino, e sopra di lui, due Skrull. Infine, in alto a sinistra il personaggio con gli occhiali è l'Uomo Talpa, e, sotto di lui, l'Uomo dei Miracoli.

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    Inaspettatamente, Johnny vede i suoi tre amici che si sono completamente ripresi, con la loro normale età e forza. Il loro invecchiamento era così avanzato che l'effetto ringiovanitore non poteva avvenire rapidamente. In questo modo, poi la Marvel mette a posto il problema dell'età di questi personaggi: infatti, negli anni '60, in cui erano uscite per la prima volta le storie dei Fantastici Quattro, Reed e Ben avevano combattuto nella Seconda Guerra Mondiale negli anni '40. Una cosa improponibile già nel 1979, l'anno di uscita di questa storia. Quindi, col ringiovanimento, gli autori avevano sistemato il problema. E oggi, nel 2024? Bè, semplicemente non si parla più della loro partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale e si fa finta che non ci siano mai stati.

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    E la storia finisce così coi Fantastici Quattro che salutano i lettori.

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    I DIALOGHI SCESPIRIANI

    Un'osservazione frequente sui fumetti Marvel è: "ma come fanno a dire tutte quelle cose mentre combattono?" Infatti non stiamo guardando la storia da un punto di vista reale: stiamo seguendo un teatro, dove i personaggi non solo agiscono, ma esprimono anche i loro sentimenti, spesso in modo solenne, drammatico, aulico, soprattutto se i personaggi sono entità cosmiche come Galactus o divinità come Thor. Ma anche i "comuni mortali" che fanno i supereroi parlano in continuazione, usando termini e osservazioni non comuni, che nessuno farebbe davvero nella realtà. Ma a teatro, invece, queste cose si fanno. Si tratta, infatti, di "fumetto teatrale", che richiama le opere di Shakespeare. Se provate a leggere Shakespeare e poi leggete le opere di Lee e Kirby, come pure quelle di altri autori della Marvel classica, vedrete più o meno gli stessi toni. L'Uomo Ragno che, in una vignetta, dà un pugno a un cattivo e, nello stesso tempo in cui lui lo fa, dice: "E' quasi sleale da parte mia prendermela con un buffone da quattro soldi quale sei tu" fa un'azione impossibile da fare nel mondo reale. Ma, in una vignetta, dove tutto è fermo, siamo a teatro e lui recita la sua parte: lunga, corta, ma comunque consistente, in cui esprime in modo "alto" i suoi sentimenti e le sue sensazioni.

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    Tutta un'altra cosa dalla narrazione Marvel di adesso, dove si dicono poche frasi, si fanno battutine brevi davanti a disegnoni infiniti, si fanno discorsi e dialoghi brevi da telefonino. Tutto molto più realista, certo: ma, nello stesso tempo, molto più povero. Nel leggere l'Uomo Ragno che dice la frase di prima, ti arricchisci perchè comprendi che ci sono tanti diversi modi di esprimersi. Ma, nel vedere le storie di adesso, non ti arricchisci per niente, perchè vedi che parlano tutti poveramente, come farebbe chiunque, in qualunque situazione. Non ne esci arricchito, perchè pensi che quel modo povero di esprimersi sia l'unico esistente al mondo.

    Edited by joe 7 - 30/4/2024, 20:06
  12. .
    GALACTUS CONTRO LA SFINGE (prima parte)

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    Ai tempi della Marvel degli anni '60-'80, ci furono delle saghe indimenticabili. Quella di Galactus contro la Sfinge riassume bene il sense of wonder del mondo della Marvel, quindi può andare bene come punto d'inizio per la presentazione di queste storie. Questa saga uscì in America nel 1979 sulla testata Fantastic Four: fu poi pubblicata per la prima volta in Italia sui Fantastici Quattro della Corno nel 1980:
    F4Corno n. 244: "Andromeda attack!"
    F4Corno n. 245: "Quando i mondi muoiono!"
    F4Corno n. 246: "La sentenza è morte!"

    E poi il seguito fu pubblicato sul Settimanale dell'Uomo Ragno della Corno (SUR) nel 1981:
    SUR n. 21: "La potenza del monocolo!" (però si trattava di una storia fill-in, cioè un riempitivo che non c'entrava nulla con la storia principale)
    SUR n. 22: "Il potere della Sfinge!"
    SUR n. 23: "Intrappolati nello spazio dei Sargassi!" (inizia l'arco narrativo disegnato da John Byrne)
    SUR n. 24: "Alla ricerca di Galactus!"
    SUR n. 25: "Terrax"
    SUR n. 27: "Battaglia di titani"
    SUR n. 28: "Il rebus della Sfinge"
    SUR n. 29: "E poi ne rimase uno solo"

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    L'AUTORE

    L'autore, Marv Wolfman, ha realizzato nella Marvel la serie Tomb of Dracula, e, ironicamente, anche la serie sull'uomo lupo Licantropus, in originale Werewolf: infatti, Wolfman in inglese significa "uomo lupo". Nella serie di Devil realizzò il famoso assassino Bullseye, in cui "nelle sue mani ogni cosa diventa un'arma mortale", tradotto in Italia all'inizio come "Occhio di bue" nel periodo della Corno. Successivamente, si preferì rispettare il nome originale, visto che era un termine intraducibile: "Bullseye", letteralmente "occhio di bue", in americano significa "fare centro": impossibile da rendere in italiano. Realizzerà anche il personaggio di Nova, "il missile umano", e la Sfinge, che compariranno appunto in questa storia.

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    Wolfman realizzerà anche le storie della Donna Ragno (Spider-Woman), con un ispirato Carmine Infantino: Wolfman fu il primo a darle un'identità umana come Jessica Drew (prima era stata un ragno evoluto per opera dell'Alto Evoluzionario). Nel suo arco narrativo sull'Uomo Ragno, fece proporre a Peter Parker il matrimonio con Mary Jane, che però lei rifiutò. Inoltre, sempre nell'Uomo Ragno, Wolfman fece introdurre la simpatica canaglia Gatta Nera (Black Cat), alias Felicia Hardy, che diventò la versione Marvel di Catwoman. Fu Wolfman a realizzare Terrax, l'araldo di Galactus che comparirà in questa storia, indicandolo anche come l'araldo conclusivo e definitivo.
    Successivamente, negli anni'80 passò alla DC e realizzò i Nuovi Giovani Titani (New Teen Titans), in particolare realizzando i personaggi di Nightwing/Robin, Starfire, Raven e Cyborg, che sono usati ancor oggi: la serie ebbe un grande successo. Poi realizzò la Crisi sulle Terre Infinite (Crisis of the Infinite Earths), un enorme reboot di tutta la DC.

    TRAMA

    Mentre Reed Richards esamina i suoi strumenti al Baxter Building, una ragazza compare davanti ai suoi occhi, grazie a un sistema di teletrasporto: si tratta della principessa Adora Suzerain di Xandar, un pianeta attaccato dagli Skrull. Ed è inseguita da uno Skrull che la vuole uccidere: Reed e Ben riescono ad aver ragione dell'alieno e, insieme a Sue, accompagnano Suzerain a Xandar per proteggere il suo pianeta dagli Skrull (Johnny resta sulla Terra). I tre, però, sono catturati dagli Skrull e vengono sottoposti al raggio invecchiante: entro tre giorni moriranno di vecchiaia.

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    Riescono a fuggire e vengono salvati dal gruppo guidato da Nova, un supereroe che ha avuto i suoi poteri proprio dal pianeta Xandar. Insieme a Nova, oltre ai suoi compagni, c'è la Sfinge, un nemico suo e dei Fantastici Quattro, che vuole raggiungere Xandar per i suoi scopi. Infatti, laggiù si trovano i Computer Viventi, dove la Sfinge potrà trovare la soluzione alla sua immortalità. Ma l'acquisto del potere ottenuto dai Computer Viventi gli ha dato un potere infinito, tanto da essere diventato invincibile. I Fantastici Quattro, Nova e i suoi compagni non riescono a prevalere sulla Sfinge, che si dirige verso la Terra per distruggerla.

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    I Fantastici Quattro - ai quali si è unito anche Johnny - decidono di raggiungere Galactus, l'unica persona abbastanza potente da affrontare la Sfinge. Per convincerlo, Richards gli promette che sarà libero dal giuramento di non attaccare più la Terra. Prima di accettare, Galactus li manda sul pianeta Lanlak, dove dovranno sconfiggere il tiranno Tyros e portarlo da lui: così fanno, e Galactus trasforma Tyros nel nuovo araldo, Terrax il domatore.

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    Ma il tempo è passato e i tre Fantastici Quattro - Reed, Sue e Ben - stanno invecchiando sempre di più a causa del raggio invecchiante degli Skrull. Nonostante questo, seguono Galactus sulla Terra, dove lui affronta la Sfinge. Sue, però, crolla e, per salvarla, Reed la mette in una camera criogenica nel Baxter Building: ma anche lui ha il tempo contato. Per peggiorare le cose, lo stesso Terrax compare per ucciderli, perchè vuole vendicarsi di loro per averlo portato da Galactus. Lo scontro è cruento e Ben alla fine cade a terra, dopo aver dato un colpo cruciale a Terrax. La Torcia, con un trucco, riesce a sconfiggerlo temporaneamente. Herbie, il robot costruito da Reed durante il viaggio spaziale, porta Ben nel Baxter Building per mettere anche lui in una camera criogenica. Galactus, intanto, batte la Sfinge e lo ricaccia nel passato, dove dovrà ripercorrere all'infinito al sua vita. Reed, anche se debole, è riuscito a costruire l'Annullatore Assoluto, l'unica arma che Galactus teme, e alla fine lo convince a non attaccare la Terra, almeno per ora. Grazie anche all'aiuto dell'Osservatore, il piano di Reed ha funzionato: ma ormai non ce la fa più nemmeno lui e sviene, privo di forze.

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    L'unico rimasto è Johnny, la Torcia Umana: dopo aver messo Reed nella camera criogenica, cerca degli aiuti, come Tony Stark o la stessa Suzerain di Xandar: ma non c'è niente da fare. Però lo Skrull che aveva attaccato la Suzerain all'inizio della storia, e che si era rigenerato dalla sconfitta, lo attacca e sta per infliggere anche a lui il raggio invecchiante. Johnny lo sconfigge e, grazie all'aiuto di Reed, che Johnny ha fatto uscire temporaneamente dalla camera criogenica, fa convertire la pistola col raggio invecchiante, trasformandolo in un raggio ringiovanitore. Rimette Reed nella camera criogenica e manda il raggio ringiovanitore su tutti e tre. Sembra che non abbia avuto successo; ma, inaspettatamente, i tre si presentano a Johnny, di nuovo giovani come prima. Tutto è bene quello che finisce bene, dice il saggio.

    COMMENTO

    L'INVECCHIAMENTO DEI PERSONAGGI

    Questa storia inizia con calma fino a crescere di tensione in modo impressionante. Marv Wolfman non solo realizza uno degli scontri più memorabili della Marvel tra Galactus e la Sfinge, ma introduce un fattore inaspettato, che rende la storia molto drammatica: l'invecchiamento dei personaggi. In questo arco narrativo, tre membri dei Fantastici Quattro - Reed, Sue e Ben - hanno solo tre giorni di vita. E, mano a mano che la storia va avanti, loro invecchiano sempre di più a causa del raggio invecchiante degli Skrull. Prima affrontano il problema in senso relativo, cercando prima Galactus, poi si occuperanno del loro invecchiamento. Ma più il tempo scorre, più il problema diventa drammatico. All'inizio, pensano che in tre giorni riusciranno a trovare un rimedio: dopotutto, sono ben tre giorni! E il giustiziere Skrull Jaketch li aveva colpiti con un raggio che non aveva fatto loro del male fisico, al massimo li aveva fatti svenire. E all'inizio si sentono uguali a prima. Ma questo è ovvio, l'effetto invecchiante doveva ancora svilupparsi bene. Anche per questo gli Skrull non si erano affatto preoccupati che i tre fossero fuggiti: tanto, il risultato finale non sarebbe cambiato. Già iniziano a notarsi gli effetti del raggio invecchiante: Ben fa fatica a sollevare dei pesi che una volta avrebbe sollevato senza problemi. Anche nelle situazioni drammatiche, l'umorismo di Ben rimane sempre attivo: pensa di mettersi un toupè (parrucchino, in francese) per coprirsi la calvizie. Uno che è senza capelli...

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    E nello stesso tempo, Ben non vuole che un robot qualunque vada a dire per filo e per segno come andranno le cose: quando Herbie descrive dettagliatamente quello che a loro accadrà, Ben gli intima di star zitto, se non vuole finire in rottami. Morire non è un "fatto naturale", come dice Herbie: e la Cosa fa capire al robot che oltre alla morte esiste anche la frantumazione dei robot. E Herbie non insiste più.

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    Ma quando si arriva al dunque, la Cosa crolla, e così anche gli altri. Non c'è più tempo per niente: tutti stanno morendo velocemente di vecchiaia, attimo dopo attimo, e sembra davvero che per loro sia finita. Wolfman riesce a rendere la storia altamente drammatica: oltre allo scontro tra Galactus e la Sfinge, il lettore si chiede come se la caveranno i protagonisti, che stanno letteralmente morendo, vignetta dopo vignetta.

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    Una tensione che nelle storie di oggi non c'è più: tutto è risata, burletta, battutine, assurdità, niente da prendere sul serio. Ma questo non è raccontare: è vaneggiare, è dire solo delle stupidaggini da bar.

    IL PROBLEMA DI SUE

    Ma la situazione, invece di migliorare, peggiora: Sue, che tra i tre è la più giovane, inaspettatamente è la prima a crollare. Johnny, suo fratello, dice che nella sua famiglia, cioè la famiglia Storm, tutti muoiono giovani. L'ombra della morte qui incombe ancora più forte. Reed cerca di salvarla mettendola in una camera criogenica, che rallenta l'invecchiamento: una specie di freezer.

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    Ma è solo un espediente temporaneo, perchè, anche se rallentato, l'invecchiamento va avanti comunque, E Reed, così invecchiato, non ha più il tempo materiale per trovare un rimedio. E, come se non bastasse, bisogna sconfiggere la Sfinge e poi impedire a Galactus di distruggere il pianeta e divorarlo. Nessuna meraviglia che Reed si senta schiacciato da una situazione simile.

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    E fa impressione vedere la Cosa, smunta e invecchiata, dare un pugno impotente contro il muro: nelle sue condizioni normali, il muro lo avrebbe sfracellato. Mai come in questo momento si avverte l'impossibilità di risolvere la situazione. Wolfman e Byrne sanno rendere al meglio il dramma della situazione.

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    Ma perchè Wolfman fa crollare prima Sue? Perchè è invecchiata. Ha i capelli bianchi, la pelle grinzosa, il petto cascante, e non fa piacere a nessuno - neanche a Sue - vedere una donna invecchiata che cerca di combattere. Una donna, per il fatto di essere donna, rappresenta la bellezza, più che la forza. E' diversa dall'uomo: la sua presenza, il suo messaggio, è completamente diverso da quello dell'uomo. Una cosa che adesso, in questi tempi di confusione dei sessi, si capisce sempre meno.

    IL GRUPPO DI NOVA

    La storia riprende la linea narrativa della serie di Nova, realizzata proprio da Wolfman, che dovette chiudere bruscamente per basse vendite dopo 25 numeri (in Italia fu pubblicata per la prima volta sulla collana Gli Eterni della Corno). Questa saga della Sfinge conclude le storie in sospeso su Nova, lasciandolo a Xandar coi suoi compagni a combattere contro gli Skrull. Poi la storia non sarà più ripresa (come è finita poi con gli Skrull? Boh), se non saltuariamente in qualche altra testata. Diciamo che gli Skrull furono sconfitti "fuori campo", senza che nessuno abbia mai letto la storia, e Nova poi è stato usato ogni tanto in qualche altra storia. Oltre a Nova, ci sono i suoi comprimari, realizzati anche loro da Wolfman, che però sembrano essere tutti dei personaggi della DC, più che della Marvel: infatti, non furono più riutilizzati, a quanto ne so. Abbiamo Cometa e suo figlio Crimebuster, Powerhouse e Testa di Diamante (Diamondhead). Questa storia è stata il loro canto del cigno: sono i tipici personaggi che non ce l'hanno fatta.

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    COME ATTRAVERSARE L'UNIVERSO IN UN CLIC

    Una delle cose più incredibili delle storie dei Fantastici Quattro era quella di fare delle cose pazzesche con la stessa tranquillità con cui si beve un caffè. Johnny era rimasto sulla Terra per motivi personali, poi ha raggiunto i suoi amici a Xandar attraverso il teletrasporto. Star Trek, vatti a nascondere, tu e il tuo teletrasporto da età della pietra: Johnny in un attimo attraversa migliaia di anni luce per arrivare in un batter d'occhio a Xandar. Roba da pazzi. Ma qui è normalissimo. :huh:

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    LA CREAZIONE DI HERBIE

    In questa storia, compare per la prima volta il robot tuttofare dei Fantastici Quattro, HERBIE, come il maggiolino tutto matto del film del 1968 (questo fumetto è del 1979). Per essere precisi, HERBIE era già comparso un anno prima, nel 1978, nella serie animata dei Fantastici Quattro, chiamata "I Nuovi Fantastici Quattro", in cui il robot aveva preso il posto della Torcia Umana. Si era detto spesso che la Torcia non era stata inserita nel cartone animato perchè i programmatori avevano paura che i bambini si prendessero fuoco come dei bonzi per imitare la Torcia. No, sul serio. :huh:

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    La verità è che la Torcia Umana a quei tempi era piuttosto popolare e la Marvel stava pensando di fare un film o un cartone animato a sè stante su di lui: quindi i suoi diritti erano semplicemente vincolati altrove, gestiti da una casa di produzione che stava lavorando al progetto (che però alla fine non fu mai realizzato). Quindi, non avendo i diritti sulla Torcia, i produttori crearono un personaggio ex-novo, appunto il robot HERBIE, adatto per i bambini (ma mai apprezzato da loro, comunque).

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    Nel fumetto HERBIE viene creato grazie ai Computer Viventi di Xandar, quindi ha un'origine più complessa di quella dei soliti robot. Johnny, inoltre, sempre nel fumetto, spiega la sua assenza nel cartone animato per il fatto di...essere stato fuori città e quindi di non aver fatto in tempo a firmare per il contratto! :lol: Il nome HERBIE è un acronimo: sta per Humanoid Electronic Robot type B Integrated Electronic (traduzione: Robot Sperimentale Umanoide, Tipo B, Elettronica Integrata).

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    HERBIE starà per poco coi Fantastici Quattro nel fumetto: subito dopo la saga della Sfinge, il Dottor Sun, un criminale, prenderà possesso del robot e HERBIE, per proteggere i suoi creatori, si suicida sfracellandosi contro la parete. Solo in un secondo tempo, ma parecchi numeri dopo, HERBIE sarà ricostruito.

    TRADIMENTI COSMICI

    Oltre alla nascita del nuovo personaggio di HERBIE, in questa storia avviene anche la morte di un personaggio piuttosto importante che è stato presente sin nelle prime storie dei Fantastici Quattro: l'Imperatore degli Skrull, Dorrek, che aveva mandato degli Skrull per la conquista della Terra e che furono poi respinti dai Fantastici Quattro. Inoltre, mandò contro di loro il Super Skrull, che aveva tutti e quattro i poteri dei Fantastici Quattro. Indirettamente, provocò la morte del padre di Johnny e Sue: il vero colpevole comunque era il comandante skrull Morrat, che aveva mandato contro di loro l'Uomo Invincibile. In quella storia, comparì anche la principessa Anele, la figlia dell'Imperatore e innamorata di Morrat. In questo arco narrativo, invece, compare per la prima volta l'ambiziosa imperatrice R'Kill, la moglie di Dorrek, che in questa scena lo uccide a tradimento per assumere il potere e comandare personalmente l'attacco a Xandar. Un nome un destino, visto che l'imperatrice si chiamava R'Kill: infatti conteneva la parola "kill", uccidere...

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    I FANTASTICI QUATTRO CONTRO GLI INSETTONI

    Mi rendo conto che ci voleva un certo periodo prima di raggiungere Galactus in modo da dare il senso del viaggio...ma far combattere i Fantastici Quattro contro degli INSETTONI SENZIENTI è davvero una cosa fuori di testa. E' tutta una storia stile Star Trek, dove si incontrano dei mostriciattoli o delle persone strane, che però ragionano come te e coi quali interagisci come se fossero delle persone normali. "Quello lì (l'insettone) era un poliziotto spaziale e quei furfanti (altri insettoni) l'hanno ucciso! Devono pagarla!" così aveva detto la Cosa. Va bene, ma questo modo di impostare la storia dà come minimo un senso di straniamento. E' impossibile identificarsi in insettoni cattivi e insettoni buoni. E' uno sviluppo che non c'entra nulla con la storia principale: praticamente un racconto a sè. Come quello del Monocolo, per esempio, che la Torcia aveva affrontato prima di andare a Xandar. Ma, se almeno lì si poteva seguire la storia, nella saga degli insettoni siamo nell'assurdo. Una stravaganza di Wolfman.

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    GALACTUS: LO SCIOGLIMENTO DEL SUO GIURAMENTO

    Wolfman, inoltre, provoca un cambiamento basilare nella storia della Marvel: dopo anni dalla sua prima apparizione, Galactus, che ha dovuto promettere di non attaccare più la Terra, in questo arco narrativo viene sciolto dal suo giuramento. Probabilmente era l'unico modo per poterlo convincere ad affrontare la Sfinge: ma è stata una decisione fin troppo pericolosa.

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    Reed aveva promesso a Galactus di scioglierlo dal suo giuramento, se avesse affrontato la Sfinge; poi, per fermarlo, ha costruito un Annullatore Assoluto, l'unico strumento che lo può sconfiggere. Per essere precisi, quello strumento avrebbe provocato la distruzione di tutto l'universo, non solo quella di Galactus. Fu per la pericolosità di quello strumento che Galactus dovette promettere di non attaccare più la Terra. Inoltre, nel loro primo incontro, in cui compariva Galactus per la prima volta, l'Annullatore non fu costruito da Richards, ma fu trovato sull'astronave di Galactus grazie all'intervento dell'Osservatore, un alieno che, sebbene tenuto solo ad osservare, aveva aiutato lo stesso i Fantastici Quattro. E anche in questa storia Reed prende l'Annullatore dall'astronave di Galactus. Però Reed, dopo che Galactus se n'è andato, dirà che aveva usato un Annullatore finto. Ma come poteva ingannare così Galactus, con un Annullatore che era nella sua stessa astronave? Lui, poi, gli avrebbe potuto leggere nella mente.

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    Ma ecco il colpo di scena che Reed, in qualche modo, paventava: l'Osservatore interviene di persona ingannando Galactus, con la scusa che lui doveva valutare questi importanti fatti usando la mente di Reed. E se questo ha impedito l'azione di Galactus, era solo per caso, non per interferenza. Come dice la Torcia, ha forzato le regole. Anzi, a dirla tutta, non le ha rispettate per nulla: l'Osservatore ha interferito. Ma, in qualche modo, Reed ci contava. E' una cosa azzardata quella che ha fatto? Parecchio, visto che si fidava su delle variabili che non dipendevano da lui. Che ne sapeva Reed se l'Osservatore l'avrebbe davvero aiutato? O se lui fosse stato persino presente? Avrebbe anche potuto andare ad osservare qualcos'altro nel frattempo.

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    Senza contare un altro fatto, ancora più grave: ora Galactus è libero dal giuramento e quindi può attaccare la Terra quando vuole. E quel trucchetto dell'Annullatore non funzionerà certamente un'altra volta. Quindi il problema è ancora aperto, e la Terra resta comunque in pericolo. Non è che la soluzione di Reed sia stata azzeccata, visto che, alla fine, ha solo sostituito la minaccia della Sfinge con quella permanente di Galactus... :=/: Può darsi che non ci fosse altro modo. Ma qui si è scherzato col fuoco.

    Edited by joe 7 - 29/4/2024, 21:23
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    PARADISO CANTO 20 - SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI: DAVIDE, TRAIANO, EZECHIA, COSTANTINO (prima parte)

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    Il Sesto Cielo di Giove, descritto da Go Nagai: al posto dell'occhio dell'aquila (descritto in questo Canto) c'è l'occhio del pianeta Giove (la famosa macchia visibile sul pianeta)



    CANTO DEI BEATI; L'AQUILA RIPRENDE A PARLARE

    Dante paragona le luci dei beati che formano l'aquila alle stelle che appaiono in cielo alla sera (che è descritta da Dante come " ‘l giorno d’ogne parte si consuma"). Il Sole ("colui che tutto ‘l mondo alluma", cioè illumina) è ormai tramontato e la sua luce, dice Dante, si riflette negli astri.
    Infatti, era cosa comune nel 1300 pensare che le stelle brillassero della luce riflessa del Sole: se fino ad allora si pensava che il Sole fosse al centro dell'Universo, era normale credere che illuminasse di per sè tutte le stelle, visto che, in questa ipotesi, era l'unica luce del cosmo.
    I beati, paragonati alle stelle di Dante, non appena l'aquila (il "sole") ha smesso di parlare, aumentano il loro splendore, proprio come fanno le stelle dopo il tramonto, e intonano un canto, il cui ricordo è ormai svanito dalla memoria del poeta.

    Dante definisce l'aquila come " ‘l segno del mondo e de’ suoi duci", cioè il simbolo del mondo e dei suoi condottieri. L'ardore di carità degli spiriti beati che compongono l'aquila si manifesta nello scintillio delle loro luci. Quando smettono di cantare, Dante sente in quel momento una specie di mormorio, simile a un corso d'acqua, che scende dal monte; oppure, simile al suono della cetra che vibra; o ancora, alla zampogna, quando emette il suo soffio. L'aquila, infatti, sta riprende a parlare con questo tipo di suono, e stavolta il suono sembra uscire dal suo collo, come se fosse forato, trasformandosi poi in voce e in parole distinte.
    L'aquila, che si è trasformata nel simbolo araldico relativo, caratteristica dell'autorità imperiale, ora invita Dante a osservare con attenzione il suo occhio. Infatti, ora che ha la forma di uno stemma araldico, è vista quindi di profilo: si vede perciò solo uno dei suoi occhi.

    aquila


    E dice, riferendosi al suo occhio, che Dante deve guardare:

    "la parte in me che vede e pate il sole / ne l’aguglie mortali" (la parte di me che, nelle aquile mortali, vede e sopporta il sole)

    Infatti, si riteneva che l'aquila, che è l'uccello che vola più in alto di tutti, avesse la capacità di sostenere a lungo la vista del Sole.

    GLI SPIRITI GIUSTI: RE DAVIDE

    L'aquila dice che gli spiriti giusti che appaiono nel suo occhio sono, fra tutti gli altri che formano il suo corpo, i più degni in assoluto. Colui che è posto al centro dell'occhio, come se ne fosse la pupilla, è il re Davide.
    Davide (nato a Betlemme il 1040 a.C. circa e morto a Gerusalemme il 970 a.C. circa) fu il secondo re d'Israele (il primo fu Saul). Da Davide discende Giuseppe, il padre putativo di Gesù: per questo Gesù è chiamato "figlio di Davide". E' venerato come santo dalla chiesa cattolica e viene festeggiato il 29 Dicembre.

    Davide
    Davide: re, poeta, cantore, santo.


    Colui che luce in mezzo per pupilla, (Colui che splende in mezzo come la pupilla)
    fu il cantor de lo Spirito Santo, (fu il cantore dello Spirito Santo (re Davide)
    che l’arca traslatò di villa in villa: (che trasportò l'Arca Santa di città in città)

    L'aquila chiama Davide "cantor de lo Spirito Santo" perchè, tradizionalmente, è ritenuto l'autore dei 150 Salmi della Bibbia. Davide, in ogni caso, nella sua vita cantò davvero e compose versi: re Saul lo aveva nella sua corte proprio per le sue capacità di canto. Davide poi fu unto re dopo la morte di Saul. Riguardo al cenno de "l'arca traslatò di villa in villa" significa che Davide portò l'Arca dell'Alleanza, lo scrigno dove stava la Presenza Divina, in vari posti, fino a portarla alla fine a Gerusalemme, quando la conquistò.

    ora conosce il merto del suo canto, (ora conosce il merito del suo canto,)
    in quanto effetto fu del suo consiglio, (poiché fu effetto della sua volontà,)
    per lo remunerar ch’è altrettanto. (grazie alla beatitudine che è ad esso commisurata.)

    Qui Dante vuole dire che Davide, ora che è in Paradiso, comprende meglio l'importanza del suo dono di cantare, frutto ("merto") dello Spirito Santo e del suo "consiglio", cioè della volontà di Davide di seguire le ispirazioni divine, che gli davano la capacità di comporre i Salmi. Si tratta, in sostanza, della collaborazione tra Dio e l'uomo, che porta a grandi cose, di cui il canto è un simbolo. L'espressione "ora conosce" sarà ripetuta per sei volte, per ognuno degli spiriti indicati dall'aquila, sempre all'inizio delle due terzine dedicate a ciascuno di loro.

    GLI SPIRITI GIUSTI: L'IMPERATORE TRAIANO

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    L'imperatore Traiano che ascolta la vedova.


    L'aquila presenta poi gli altri cinque beati, che formano il ciglio (o contorno) dell'occhio. Quello più vicino al becco è l'imperatore Traiano, che fece giustizia alla vedova (ne ha già parlato Dante tra gli esempi di umiltà nella Cornice dei Superbi del Purgatorio, nel Canto 10).

    Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, (Dei cinque beati che formano il cerchio che mi fa da ciglio,)
    colui che più al becco mi s’accosta, (colui che è più vicino al mio becco)
    la vedovella consolò del figlio: (consolò la vedovella facendo giustizia del figlio (Traiano)

    ora conosce quanto caro costa (ora sa quanto costa caro)
    non seguir Cristo, per l’esperienza (non seguire Cristo, poiché ha sperimentato)
    di questa dolce vita e de l’opposta. (sia la vita in Paradiso sia quella all'Inferno.)

    L'aquila allude al fatto che Traiano, secondo una leggenda, rimase nel Limbo fino a quando fu portato in Paradiso grazie alle preghiere di un importante Papa del secolo 500: san Gregorio Magno. Infatti, il santo, avendo saputo della bontà di Traiano, che era morto da tempo (Traiano morì nel 117), con le sue preghiere lo avrebbe fatto risorgere, battezzare e mandare in Paradiso. Cosa c'è di vero in questa leggenda? Intanto, come già ho detto, la Chiesa non riconosce l'esistenza del Limbo: anche ai tempi di Dante non era una verità di fede. Ma Dante inserisce comunque il Limbo nella Commedia proprio per ricordare l'importanza del Battesimo, che rende il Cristiano parte del Corpo di Cristo e gli apre la Salvezza, e la differenza quindi tra essere cristiani e non esserlo. E' una cosa infatti che è facile da dimenticare. Il resto, cioè la risurrezione di Traiano e il suo battesimo, è assai forzato, anche se ci sono stati dei casi di risurrezione ottenuti grazie alla preghiera: negli Atti degli Apostoli San Pietro, con le sue preghiere, fece risorgere la cristiana Tabità. E ci sono stati altri casi di risurrezione, anche ai giorni nostri. Comunque, è più probabile che San Gregorio Magno abbia "semplicemente" visto Traiano già in Paradiso.

    San Tommaso d’Aquino nel De Veritate, a proposito delle persone che non hanno avuto occasione di sentire l’annuncio del Vangelo (sia prima che dopo Cristo), partendo dal principio che Dio vuole salvi tutti gli uomini (1 Tm 2,4), scrive:
    “Dal fatto che tutti gli uomini sono tenuti a credere esplicitamente alcune verità per salvarsi, non c’è inconveniente alcuno che qualcuno viva nelle selve o tra gli animali bruti (cioè: nessuno è destinato a vivere nell'ignoranza). Poiché appartiene alla Divina Provvidenza provvedere a ciascuno le cose necessarie per la salvezza: perciò, se uno, educato secondo la ragione naturale, si comporta in maniera da praticare il bene e fuggire il male, si deve tenere per cosa certissima che Dio gli rivelerà, per interna ispirazione, le cose che deve credere necessariamente (e qui lasciamo fare a Lui dirgli quali cose e in che modo) o (nel caso che sia vissuto dopo la resurrezione) gli invierà qualche predicatore della fede, come fece con S. Pietro e Cornelio (San Pietro andò a trovare Cornelio parlandogli di Cristo e rendendolo cristiano col battesimo)” (De Veritate, 14, 11, ad 1).

    Insomma, se un non cristiano è buono, poi Dio lo aiuterà, in vie che sa solo Lui. Non stupisce quindi che Dio, per interna ispirazione, abbia potuto infondere in Traiano, universalmente noto per la sua bontà e la sua rettitudine, le nozioni essenziali per la sua salvezza. È lecito anche supporre che tali persone avrebbero desiderato esplicitamente il Battesimo, se ne avessero conosciuta la necessità: si tratta di quello che la Chiesa chiama "battesimo di desiderio".

    Dante sapeva del fatto che quella di Traiano era una leggenda: ma inserendola ha indicato delle cose fondamentali. Prima di tutto, l'importanza della preghiera (quella di Gregorio Magno), che salva anche le anime degli altri, non solo la propria; e il fatto che chi non è cristiano può salvarsi. Quello che interessava a Dante era l'insegnamento della leggenda, non la sua veridicità.

    GLI SPIRITI GIUSTI: RE EZECHIA

    Ezechia
    Ezechia chiede a Dio di farlo vivere ancora per qualche tempo e viene esaudito.


    L'aquila poi presenta, sempre nel suo occhio, Re Ezechia. Era un re di Gerusalemme: visse tra il 700 e il 600 a.C. Fu un re giusto, che rimosse con forza il politeismo nel regno di Giuda e rinforzò la fede nel Dio unico. E' famoso perchè chiese una grazia a Dio: piangendo ("per vera penitenza" dice Dante ), supplicò Dio di differirgli la morte, che gli era stata annunciata dal profeta Isaia: alla fine ottenne la grazia di vivere diversi anni ancora (quindici, per l'esattezza). La Chiesa Cattolica lo venera come santo e lo festeggia il 28 Agosto.

    E quel che segue in la circunferenza (E il beato che lo segue nel cerchio (dell'occhio dell'aquila)
    di che ragiono, per l’arco superno, (di cui parlo, nella parte alta (cioè: la parte superiore dll'occhio)
    morte indugiò per vera penitenza (ritardò la propria morte con una vera penitenza (re Ezechia)

    ora conosce che ‘l giudicio etterno (ora sa che il giudizio eterno)
    non si trasmuta, quando degno preco (non viene mutato, quando la preghiera di un'anima degna)
    fa crastino là giù de l’odierno. (sulla Terra rimanda quello che è già stato pronunciato.)

    Dante qui vuole dire che il giudizio divino - la morte, cioè - può essere rimandata con la preghiera, come ha fatto Ezechia, ma alla fine avviene.

    GLI SPIRITI GIUSTI: L'IMPERATORE COSTANTINO

    Costantino
    Costantino, con la famosa scritta che vide in cielo: "In hoc signo vinces", "In questo segno (la croce) vincerai"


    Viene dopo di lui Costantino (274-337), l'Imperatore romano che promulgò la libertà religiosa dei cristiani con l'Editto di Milano e spostò la capitale da Roma a Costantinopoli.
    Prima che Costantino diventasse imperatore, ci fu un periodo di guerre civili: Massenzio, di origini imperiali, si proclamò Imperatore di Roma con l'appoggio di tutti: esercito, senato, popolo. Mentre Massenzio prendeva il potere a Roma, Costantino, nominato anche lui imperatore, ma solo di nome, stava combattendo contro i Britanni e i Franchi. Costantino aveva l'appoggio del suo esercito e dei barbari che gli si erano sottomessi: ma questo non sarebbe bastato per battere Massenzio, che aveva in mano Roma e tutta l'Italia, con un esercito di gran lunga superiore al suo. Incerto, Costantino stava marciando col suo esercito verso Roma. Un giorno, al tramonto, Costantino, alzando lo sguardo verso il sole calante, vide sul cielo una croce di luce, sovrapposta al sole, e sotto di essa la scritta "In hoc signo vinces", cioè “con questo segno vincerai”. E non fu solo Costantino a vedere quella visione: anche gli altri soldati con lui rimasero stupiti nel vedere quella misteriosa scena. Insicuro del significato di questa visione, quella notte, Costantino rifletteva nella sua tenda. Gli apparve Cristo, che gli ordinò di usare il segno della croce, sotto forma di cristogramma, contro i suoi nemici, e in questo modo vincerà. Un cristogramma è una combinazione di alcune lettere dell'alfabeto greco o latino che formano un'abbreviazione del nome di Gesù. Nel caso di Costantino, il cristogramma usato fu quello più famoso di tutti: il Chi-Rho. Ha infatti le lettere greche Chi e Rho. "Chi" è la lettera greca "C" di Cristo e "Rho" la lettera greca "R": sono le prime due lettere del suo nome. "Chi" in greco si scrive con una "X" (che richiama quindi la croce) e nell'alfabeto latino corrisponde a "ch"; "Rho" in greco si scrive con una "P" e nell'alfabeto latino corrisponde alla "r".

    cristogramma
    Cristogramma Chi-Rho. Ai lati ci sono le lettere Alfa e Omega, che sono la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco. Significa che Cristo è l'Inizio e la Fine, cioè è Tutto.


    Costantino seguì le indicazioni di Gesù e mise sul suo stendardo e sugli scudi dei suoi soldati il cristogramma Chi-Rho. Massenzio dispose i suoi soldati nei pressi di Saxa Rubra, cioè "grotte rosse" (il luogo era chiamato così per via della presenza di grotte di tufo rosso nella zona. Ma successivamente il luogo sarà chiamato così anche a causa dello scontro sanguinoso tra gli eserciti di Massenzio e Costantino, in cui la terra si tinse di sangue da ogni parte. Laggiù si trova attualmente il centro di produzione più importante della RAI). La zona di Saxa Rubra aveva il fiume Tevere alle spalle, e Massenzio fece costruire un ponte di barche alle sue spalle: il Ponte Milvio. Col fiume alle spalle, Massenzio era convinto che le truppe avrebbero combattuto con maggior furore; inoltre, la località poco pianeggiante avrebbe sfavorito la cavalleria di Costantino. Il 28 ottobre 312 avvenne la battaglia: Costantino attaccò furiosamente i fianchi dell'esercito di Massenzio, guidando personalmente la cavalleria. Il nemico andò in rotta, ritirandosi sul Ponte Milvio, che non poté reggere il peso di tanti uomini in fuga e crollò, facendo annegare tutti i soldati, compreso lo stesso Massenzio. Il giorno seguente, Costantino entrò trionfalmente a Roma, alzando la testa mozzata del suo avversario.

    Ponte-Milvio
    La battaglia di Ponte Milvio. Fu una svolta storica, sia per Roma, che per i cristiani, che per il mondo intero.


    Nel 313, Costantino promulgò l'Editto di Milano, che diede la libertà religiosa definitiva ai cristiani. Non si trattò di "Costantino che appoggia la maggioranza popolare approvando il Cristianesimo", come si dice spesso parlando dell'Editto di Milano: i cristiani a quel tempo erano ben lungi dall'essere la maggioranza. Anzi, erano reduci da una spaventosa persecuzione avuta da uno dei precedenti imperatori, Diocleziano: fu l'ultima, ma anche la più terribile, persecuzione romana dei cristiani, superiore persino a quella di Nerone. Lo stesso Costantino, che era pagano, scriveva di essere stanco e disgustato dalle crudeltà che i carnefici avevano commesso contro i cristiani sotto Diocleziano: infatti la ferocia dei persecutori era tale che anche gli altri pagani ne erano inorriditi. Costantino si fece battezzare sul letto di morte, nel 337.
    L'aquila così presenta Costantino:

    L’altro che segue, con le leggi e meco, (L'altro che vien dopo (Costantino)
    sotto buona intenzion che fé mal frutto, (in base a una buona intenzione che poi diede cattivi frutti,)
    per cedere al pastor si fece greco: (per lasciare Roma al Papa trasferì il governo imperiale a Costantinopoli)

    Costantino infatti trasferì il governo imperiale da Roma a Costantinopoli ("con le leggi e meco...si fece greco". "meco" significa se stesso), lasciando la città in mano al Papa. Una cosa, dice Dante, che diede amari frutti, perchè così l'Italia rimase senza un governo stabile. Infatti, col governo nella lontana Costantinopoli, l'Italia fu soggetta alle invasioni barbariche, fronteggiate con fatica dalla Chiesa e dai vari alleati che riusciva a trovare (Longobardi, orientali, ecc.)

    Tuttavia, la scelta di Costantino (che Dante chiama "bene operar") doveva essere stata fatta in base alle circostanze storiche di allora, perchè, come si vede, non c'è nessuna colpa per quello che ha fatto, visto che adesso è in Paradiso. Resta il fatto che un Impero lontano ha portato a dei pericoli vicini, come nota amaramente Dante ("avvegna che sia 'l mondo indi distrutto"):

    ora conosce come il mal dedutto (ora vede che il male scaturito)
    dal suo bene operar non li è nocivo, (dalle sue buone azioni non gli ha nuociuto)
    avvegna che sia ‘l mondo indi distrutto. (benché il mondo ne sia stato guastato.)

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xx.html
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    37 - RITORNO ALLA FABBRICA

    Peline ha un incubo: va alla villa Pandavoine, dove entra e chiama il signor Pandavoine, che è seduto sulla scrivania. Gli dice:
    "Nonno, sono io!"
    Il nonno si alza e cerca di vederla, ma non ci riesce, perchè è cieco. La porta si chiude dietro a Peline, tutto è buio e passano Toluel e Theodore, senza dire niente. Peline chiama il nonno, ma inutilmente. Poi si sveglia, e sente la persiana della finestra agitarsi, anche se è chiusa. Peline la apre e sente il vento che si agita.
    "Comincia a far freddo la notte" commenta lei.
    Infatti siamo in autunno inoltrato: l'inverno si avvicina.

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    Peline si veste e tossisce.
    "Faceva freddo stanotte, Barone. Mi spiace, ma credo che prima o poi dovremo lasciare questo posto."
    Va alla fabbrica e saluta Rosalie, e nel farlo starnutisce ancora.
    "Ti sei raffreddata?" chiede Rosalie.
    "Un pò, devo stare attenta."
    "Torni ai carrelli oggi?"
    "Sì, il lavoro di traduttrice è terminato."
    "Sei diventata famosa, sai? Tutti ne parlano."
    "E' un pò una seccatura" commenta Peline.
    "Ti facevi capire bene da loro, vero?"
    "Ma no, cercavo di cavarmela."
    "Non fare la modesta, sei la ragazza più in gamba della fabbrica" dice Rosalie, mettendole un braccio al collo.

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    Quando Peline raggiunge la fabbrica, il capomastro le dice:
    "Purtroppo ti abbiamo sostituito."
    "Allora potrei occuparmi delle macchine" risponde Peline.
    "Lo sai fare?"
    "No, ma prima o poi cominciano tutti, no?"
    "Mi spiace, ma non abbiamo bisogno adesso di te: tutte le macchine sono in uso."
    "Allora cosa posso fare?"
    "Perchè non ne parli al direttore Toluel?"
    Peline va da Toluel. Poco dopo arriva l'ingegner Fabry, che si rivolge al capomastro:
    "Dov'è Aurelie?"
    "E' andata dal direttore, perchè?"
    "Allora lei sa già la notizia?"
    "Che notizia?" chiede il capomastro.
    "Il signor Pandavoine le vuole parlare."
    "Eh? Non ne sapevo niente" risponde lui, sorpreso.
    "E allora perchè è andata da Toluel?"
    "Perchè non ha più nessun lavoro qui."

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    Peline viene ricevuta freddamente da Toluel, che le dice:
    "Aspetta che finisco di leggere questo."
    "Va bene" e la fa aspettare.
    Alla fine, il direttore si accende con calma una sigaretta e le dice:
    "Da adesso non c'è più un lavoro per te."
    "Ma non è giusto, sono andata a fare l'interprete per ordine del signor Pandavoine e adesso che l'ho fatto mi togliete il posto!"
    "Potrei licenziarti adesso, sai."
    Arriva l'ingegner Fabry, che dice che il signor Pandavoine vorrebbe parlare con Aurelie. Toluel sussulta e dice a Peline:
    "Ti accompagno dal presidente."
    "Ma ha chiamato solo lei..." obietta Fabry.
    Ma Toluel insiste: può aver bisogno di un intermediario. Soprattutto, vuole capire che sta succedendo e perchè il signor Pandavoine sia così interessato ad Aurelie.

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    Quando i due entrano nello studio di Pandavoine, lui dice seccato:
    "Avevo chiamato solo Aurelie, signor Toluel. Lei può andarsene."
    "Mi sono permesso di accompagnarla, perchè potrebbe aver bisogno di aiuto per capire la situazione..."
    "Non si preoccupi. La ragazza è una persona sveglia. Potete andare."
    Toluel esce, seccato, e origlia dalla porta. Ma viene beccato da Theodore, il nipote di Pandavoine, e lui sobbalza:
    "Sst! Il signor Pandavoine ha chiamato quella ragazza, Aurelie."
    "Eh? E perchè mai?"
    "Credo per farsi tradurre quelle lettere dall'inglese."
    All'improvviso si apre la porta e Pandavoine dice:
    "Cosa bisbigliate tra di voi qui fuori? Theodore, hai chiamato l'avvocato?"
    "Ecco, non ancora..."
    "Allora muoviti! Signor Toluel, torni nel suo studio" e chiude la porta, andando a sedere sul divano accanto a Peline.

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    Pandavoine inizia a parlare:
    "Con la perdita della vista, il mio udito si è raffinato molto, ma quello sciocco di Theodore non l'ha ancora capito. Ti chiederai perchè ti ho chiamato, vero?"
    "Ecco, sì..."
    "Ho deciso di prenderti con me come mia segretaria privata."
    "EH?"
    "Sei troppo giovane per lavorare nell'azienda. Ti dò l'incarico."
    "Ma io non so se ne sono all'altezza!"
    "Ho saputo della tua storia. Hai volontà e coraggio."
    "Avete un'opinione troppo alta di me."
    "No, non mi sbaglio. Avrai 90 franchi al mese."
    "90 franchi?"
    "Prima quanto guadagnavi al mese?"
    "8 franchi e 60 centesimi..."
    "Bene. Sai fare i conti alla svelta. Hai sommato tutte le tue paghe settimanali."
    (questo significa che Peline prendeva 2 franchi e 15 centesimi alla settimana, ndr)

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    Pandavoine si alza e va a sedersi alla sua scrivania.
    "Dovrai anche cambiarti d'abito. Come segretaria dovrai accompagnarmi, quindi dovrai essere ben vestita. Avrai un permesso per acquistare dei vestiti da madame Lachaise. Potrai scegliere quello che ti pare. Giudicherò il tuo carattere dai vestiti che indosserai."
    "La ringrazio, signor Pandavoine" dice Peline, ancora incredula.
    Poi Pandavoine chiama Toluel e gli dice che ora Aurelie è la sua nuova segretaria. Toluel è stupefatto, ma si congratula con Peline per l'incarico.

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    Intanto, Rosalie è preoccupata e dice a Fabry che teme che Peline venga licenziata.
    "Non credo, Rosalie: il signor Pandavoine l'ha chiamata, credo per farle leggere delle lettere in inglese" risponde lui.
    "Ehi, Rosalie, torna al lavoro!" dice il capomastro.
    "Dite ad Aurelie che l'aspetto al solito posto a pranzo" dice Rosalie prima di andarsene.
    "Va bene" risponde Fabry, e Rosalie torna alla macchina tessile.
    Poco dopo, Theodore vuole parlare a Fabry, che ne è infastidito.
    "Cosa volete, signor Theodore?"
    "Ingegner Fabry, il signor Pandavoine non ha più la testa a posto...vorrei sentire un vostro parere..."
    "Perchè, cos'ha fatto?"
    "Ha assunto quella ragazzina, Aurelie, come sua segretaria privata!"
    "Eh?"
    "Rideranno di lui!"
    "Non si preoccupi, sono sicuro che Aurelie se la caverà bene" e Fabry si allontana, soddisfatto.

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    Intanto, Peline è nello studio della segretaria, accanto a quella di Pandavoine, senza sapere cosa fare. All'improvviso bussano: è l'ingegner Fabry, e Peline è felice di rivederlo.
    "Ho saputo la notizia: congratulazioni, Aurelie!" Nota però che è preoccupata. "Ma cosa c'è?"
    "Ecco, ho una gran confusione in testa, non so cosa fare nè cosa dire...non mi sento all'altezza."
    "Non ti preoccupare, sono sicuro che diventerai un'ottima segretaria."
    "E' sicuro?"
    "Ma certo, hai tutti i numeri per farlo."
    Peline quasi piange: "Vi ringrazio."
    "Ma che ti prende? Sei sempre stata in gamba fino ad adesso, e ora sei in crisi?"
    "Dopotutto, sono solo una ragazza."
    "Coraggio, andrà tutto bene."
    "Farò del mio meglio."
    "Ci vediamo. Ah, Rosalie mi ha detto che ti aspetta a pranzo al solito posto."
    "Certo, ci sarò."

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    Dopo che Fabry è uscito, Peline va a sedersi alla scrivania della segretaria. Sta per suonare mezzogiorno.
    "Quanto dovrò aspettare qui?" si chiede.
    Intanto, Toluel e Theodore discutono con Pandavoine riguardo alla sua decisione su Peline.
    "Insomma, pensate che io sia rimbambito?" sbotta alla fine Pandavoine "Aurelie è in gamba, è intelligente, la ritengo all'altezza. Ma vedo che non ne siete convinti. Va bene, faremo una prova. Seguitemi."

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    Mentre Rosalie aspetta la sua amica, Pandavoine chiede a Peline di accompagnarlo, insieme a Theodore e Toluel, al magazzino del materiale grezzo, dove depositano il cotone da lavorare.
    "Vedo che è arrivata la canapa" dice Pandavoine, una volta arrivato.
    "Come fate a capirlo?" chiede Peline.
    "Lo capisco dall'odore. Aurelie, ascoltami: devi dirmi di che colore è la canapa che vedi. Vedi dei colori particolari?"
    "Ecco, mi sembrano tutti dello stesso colore."
    Pandavoine afferra una ciocca di canapa.
    "Guarda bene. Alcune sono rossicce, altre tendono al verde."
    "Ma zio, è inesperta..." obietta Theodore.
    "Silenzio!"
    Peline osserva con attenzione: "Sì, ci sono delle sfumature diverse."
    "Di che colore?"
    "Rossiccio."
    "Passamela."
    Porge la ciocca a Pandavoine, che l'annusa e dice: "Hai visto giusto. Vede, Toluel?"
    "Come ha fatto a capirlo?" chiede Peline.
    "La canapa rossiccia ha un odore caratteristico. Hai un buon spirito di osservazione. Osserva questa ciocca. Di che colore è?"
    "Tende al verde."
    "Ci sono diverse gradazioni di verde. Che tipo di verde è, Aurelie?"
    "Hmm...molto chiaro, con delle macchie diffuse."
    "Come? Delle macchie? Chiamatemi Jacques, il magazziniere!"
    Quando lui arriva, Pandavoine gli dice di togliere quella partita di canapa.
    "Hai visto giusto, Aurelie. Se ci sono delle macchie, significa che la canapa è di qualità scadente. Hai superato la prova."

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    Quando escono, Pandavoine ha un leggero capogiro e Peline gli chiede:
    "Vi tengo per mano?"
    "No, non è niente..." però poi ci ripensa e dice: "Aurelie, dammi la mano."
    Per la prima volta, Peline stringe la mano del nonno. Arriva Rosalie, che stava aspettando Peline.
    "Rosalie, sei tu?" dice Pandavoine "Adesso Aurelie è la mia segretaria. Scusa la sua assenza, aveva da fare fino ad adesso. Dopo che arriviamo all'ufficio, Aurelie, puoi andare da lei."
    Pandavoine e Peline attraversano la fabbrica, sotto gli occhi stupiti dei lavoratori. Con questo giorno, sono passati due mesi dall'arrivo di Peline a Maraucourt.

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    LA VESTIZIONE DI PELINE

    Come si vede, Peline ha una sottoveste bianca, sulla quale si mette una camicia grigia, piuttosto lunga. Poi aggiunge il corpetto marrone coi lacci e la gonna rosso scuro. Questo è il vestito tipico di Peline, che lei porta per quasi tutta la serie. Ma il prossimo episodio, col cambio di vestiti, sarà l'ultimo con Peline coi vestiti classici, per sottolineare il grande punto di svolta della sua vita.

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    29 - POMERIGGIO NEL BOSCO

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    Heidi e Clara sono nel prato del bosco di Francoforte: vedono una farfalla e Heidi cerca di prenderla per farla vedere a Clara. Due bambini su un ramo ridono perchè vedono della gente di città. Gareggiano con Heidi per prendere la farfalla. Clara è turbata, perchè vede Heidi e gli altri che corrono per prendere la farfalla, mentre lei deve restare sulla carrozzella.
    "Siete molto ricchi" dice un bambino a Heidi, indicando la carrozza.
    "Quella è la carrozza del papà di Clara" spiega Heidi.
    "E dov'è questa Clara?"
    "E' lì."
    "E perchè sta seduta?"
    "Perchè non può camminare".
    Clara è contrariata e imbronciata.
    "L'abbiamo presa!" dicono i bambini, una volta catturata la farfalla, poi uno di loro dice:
    "Andiamo, Klaus!" e se ne vanno.
    Heidi porta la farfalla a Clara, ma la bambina non la vuole più vedere.
    "Ero su questa stupida sedia e tu mi hai dimenticata" accusa lei "Potevi venire un pò più vicino, visto che non potevo venire da voi" e piange.
    "Ma Clara, io ti volevo solo prendere la farfalla" dice Heidi, preoccupata.

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    Clara poi si riprende e dice a Heidi:
    "Scusa, è ingiusto quello che ti ho detto."
    "Ti porto dalla nonna" dice Heidi.
    La nonna sta arrivando con una collana di fiori: si accorge però che Clara è triste.
    "Rimanda Heidi in montagna" dice lei "Non voglio più vederla."
    "Non capisco" dice la nonna.
    "Prendevamo la farfalla, l'abbiamo lasciata sola" dice Heidi.
    "Su, non è successo niente" dice la nonna.
    "Voglio tornare a casa" esclama Clara. Heidi preferirebbe restare, ma va a chiamare la carrozza.
    "Siamo appena arrivate. Volete tornare a fare i compiti con la Rottenmeier?" dice la nonna a Clara, rimproverandola "Heidi ti è rimasta indifferente?"
    Clara è pensierosa, poi esclama a Heidi "Aspetta, torna qui, lascia stare, voglio rimanere."
    Heidi ritorna.
    "Clara è pentita. Erano solo sciocchezze" spiega la nonna e, rivolta a Clara, le dice: "Di' qualcosa di carino a Heidi, lei ti vuole bene" e le mette la ghirlanda di fiori.

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    Una farfalla si appoggia su uno dei fiori.
    "Sembra un fiocco" dice Clara, contenta.
    Fanno il picnic. Heidi vede uno scoiattolo e porta Clara nel bosco per farglielo vedere. Ad un certo punto, la nonna le cerca: Clara dice a Heidi di nascondersi tutte e due, e mentre vanno vedono un laghetto. Si nascondono per fare uno scherzo alla nonna, ma lei le vede e fa finta di disperarsi dicendo:
    "Non me la perdonerò mai di averle lasciate andare, poverette, chissà dove sono?"
    Le due bambine si preoccupano e saltano subito fuori per tranquillizzarla: la nonna dice loro che stava facendo finta.

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    All'improvviso vedono un battello sul laghetto e vi salgono sopra, mentre Giovanni, il carrettiere, li segue a terra con Sebastiano a bordo della carrozza. Dal battello vedono le mucche e anche delle capre.
    "Assomigliano alle tue?" chiede Clara.
    "Certo" risponde Heidi "Possiamo scendere a vederle?"
    "Certo" risponde la nonna. Scendono e Heidi insegue la capra.
    "Non far correre le mie capre, se no si stancano" dice la contadina che le custodisce.
    "Posso avere del latte di capra?" chiede Heidi, e la nonna paga la contadina, che inizia a mungere.
    "Posso mungerla io?" chiede Heidi.
    La contadina, scettica, le risponde: "Non sei capace."
    "Invece sì" risponde lei.
    Prende uno sgabello e inizia a mungere.
    "Perbacco, sei brava!"
    La capra bela e Clara sobbalza. Poi prendono il tè coi dolci e col latte di capra.
    "Oggi hai mangiato più di Heidi" commenta la nonna a Clara.
    Al tramonto, tornano a casa in carrozza e Heidi e Clara cantano.

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    "Siete tornate più tardi del previsto" osserva la Rottenmeier quando arrivano. Clara e Heidi dormono sulla carrozza.
    "Clara si è affaticata" aggiunge la Rottenmeier.
    "Ma no, non si preoccupi" la tranquillizza la nonna.
    Ma Sebastiano nota che Clara ha la fronte calda: ha la febbre. La portano subito dentro, mentre Heidi si sveglia.
    "Scendi" dice Giovanni, il conducente "Devo andare subito dal dottore, la signorina Clara si è ammalata!"
    "Clara si è ammalata?" chiede lei preoccupata.
    Mentre Clara è a letto, la Rottenmeier si sfoga:
    "La mia opinione viene sempre ignorata. Clara è malata e delicata, è stata un'idea sbagliata. Questa Heidi vi ha stregato tutti!"
    "Basta, signora Rottenmeier, ne parliamo più tardi" taglia corto la nonna.
    "Scusa, Clara, è colpa mia" pensa Heidi "Ti avevo lasciata sola mentre cercavo la farfalla. L'ho fatta ammalare io."
    Arriva il dottore, che ha sentito le preoccupazioni di Heidi.
    "Su, non credo proprio che sia colpa tua. Vedo quello che posso fare" dice lui.
    La nonna consola Heidi: "Ha solo un pò di febbre."
    "Posso fare qualcosa per Clara?"
    "Lo sta già facendo il dottore, vedrai."
    "Posso stare tranquilla?"
    "Certo."

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    Il dottore esce e dice che la febbre scenderà. Clara vuole parlare con Heidi da sola, e senza la Rottenmeier.
    "Va bene" dice lei seccata "Si vede che qui si è persa la buona educazione."
    Clara dice a Heidi:
    "Sono stata cattiva con te. Mi spiace molto. Non pensavo quelle cose. Resta con me."
    "Certo, torneremo nel bosco quando guarirai."
    "Ci andremo tutti i giorni."
    Da allora Clara e Heidi diventano vere amiche. Clara però non guarisce subito.

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2227 replies since 31/8/2013
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